“La Calabria ha nei media un’immagine condizionata
spesso dalla mancanza di approfondimento dei motivi sociali e politici che sono
alla base delle sue condizioni, per cui prevale la stanca ripetizione dell'idea
di una quasi identificazione con le organizzazioni criminali e soprattutto
della 'ndrangheta’’. E’ quanto argomenta Giovannino Russo, ritenuto l’ultimo grande meridionalista, nel corso di un’intervista pubblicata da
“Calabria on web” (www.calabriaonweb.it),
il magazine edito dal Consiglio regionale, al giornalista Filippo Veltri, che definisce il colloquio
con uno tra i maggiori protagonisti della vita culturale e giornalistica
italiana ( inviato speciale del “Corriere della Sera”, collaboratore de “Il
Mondo” di Mario Pannunzio e delle principali riviste culturali a partire da
“Nuova Antologia”, nonché autore di celebri libri che hanno raccontato,
attraverso analisi spregiudicate e originali, il travaglio del Paese e del
Mezzogiorno) “una delle più interessanti chiacchierate fatte negli ultimi tempi
sul problema dell’immagine della nostra regione, sulle colpe di noi calabresi,
ma anche sugli stereotipi ed i luoghi comuni he ci vengono cuciti addosso”. “’
E' chiaro - aggiunge Russo, che a breve
darà alle stampe un nuovo volume
- che si tratta di un’interpretazione, quella dei media, che
rifiuta di esaminare i vari aspetti dei problemi storici, civili e sociali
della Calabria. La ragione per cui questo avviene, non sta solo nel fatto che
per il pubblico dei media ha più audience una storia in cui si raccontano
episodi e avvenimenti che confermano luoghi comuni, ma anche nel fatto che sia
la classe politica sia le istituzioni non hanno dato di loro stesse un'immagine
tale da contraddire quella che è prevalsa finora nel racconto della realtà
calabrese. Ma non sempre è stato cosi”. Spiega l’autorevole meridionalista:
“Sia la Calabria che il Sud in generale,
erano rappresentati sui mezzi di comunicazione di massa molto meglio negli anni
passati, in particolare nel periodo che va dal secondo dopoguerra fino agli
Anni ‘70. Questo era dovuto al fatto che c’era un interesse ideologico e
politico che animava sia i partiti e i sindacati, sia gli operatori della
comunicazione. C’era nell’opinione pubblica il desiderio e la speranza di
modificare certe condizioni sociali e di risolvere secolari problemi. Per
parlare ad esempio del mio caso, come giornalista, posso dire che debbo la
scoperta della Calabria a Corrado Alvaro, grazie alle pagine di “Gente in
Aspromonte”. E proprio la poesia di quegli scritti e le sue riflessioni
portavano a scandagliare la realtà calabrese sotto la suggestione di una
rappresentazione anche letteraria di un grande scrittore. Attualmente questi
motivi ideali non ci sono più, e il confronto tra la Calabria e le altre
regioni italiane si fa solo sulla base degli aridi dati delle statistiche
dell’Istat o dei bilanci degli Enti pubblici, che non sono sempre - per usare
un eufemismo - correttamente amministrati. Il motivo per cui, quindi, si
guardava con occhi diversi alla Calabria negli anni passati era proprio perché
tutta l’atmosfera del Paese era contrassegnata dal desiderio o dalla speranza
di contribuire alla costruzione di un avvenire più felice e migliore’’. Ancora Russo: “Tra le cause non secondarie di questo fenomeno, che
non riguarda solo la Calabria, c’è il comportamento di una classe dirigente che
non si preoccupa di curare gli interessi pubblici, ma è rivolta prevalentemente
a curare quelli personali o corporativi, in una parola clientelari, e tira a
campare pur di garantire la propria sopravvivenza. Varie sono quindi le ragioni
per cui non si riesce a dare un’immagine vera della situazione della Calabria,
ma questo non succede solo per essa. La tendenza dei media è quella di colpire
con fatti clamorosi l’attenzione del pubblico. Così la scoperta del radicarsi
della ‘ndrangheta in Lombardia, fenomeno che risale del resto a circa 30 o 40 anni
fa, viene presentato come un fatto nuovo, recente e sorprendente, sicché non si
riflette su come questa “esportazione” sia lentamente avvenuta. Naturalmente,
non mancano da parte di studiosi più seri e di giornalisti meno superficiali i
tentativi di rovesciare questi luoghi comuni e di fare studi seri, esaminando
meglio e più compiutamente le realtà sociali, i rapporti tra le classi
dirigenti e i ceti medi della regione con quelli più poveri e meno evoluti, ma
si tratta di aspetti minoritari che non incidono sulla comunicazione di massa”.
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