Dopo la Fiamma, l’Alamaro, i
Cappelli e le Armi dei primi cento anni di vita dei Carabinieri, a costituire
il tema di questo inserto sono ancora le Armi, nella loro funzione primaria, la difesa della Patria. Il periodo sto-rico
affrontato vede, più che mai, l’Arma impegnata nel suo duplice ruolo di arma
combattente e di forza di poli-zia, che ne giustifica la necessità di adeguare
costante-mente la dotazione di armi alle innovazioni tecniche. L’arco di tempo
considerato, partendo dalla Grande Guerra e chiudendosi col Secondo Conflitto
Mondiale,attraversato altresì dalla campagna per la conquista dell’Africa
orientale, si configura come un lungo momen-to di trasformazione dell’assetto
interno del nostro Paese,che per l’Arma comporta una parallela esigenza di aggiornamento
delle dotazioni operative, tra cui le armi,strumenti non primari della sua
funzione istituzionale,ma essenziali. Cosicché, dopo un secolo di vita, i
Carabinieri sono chiamati a combattere per la Patria, non più con le carabine o
con le sciabole, ma con le crepitanti armi di reparto, le mitragliatrici, anche
per mano degli esordien-ti Carabinieri piloti, pionieri dell’aviazione
militare.
La precedente monografia sulle
armi dei Carabinieri, apparsa sull’Agenda dello scorso anno, si è conclusa con
la descrizione del Moschetto mod. 1891, anticipando che esso“avrà una lunga
storia”. Nella sua duplice ver-sione, corta con baionetta ripiegabile e lunga con
baionetta innestata, il Carcano 91 - è que-sto il suo vero nome - è stato
infatti, ininterrot-tamente, il fedele compagno dei militari dell’Arma, sui
campi di guerra e sul fronte dell’ordine interno. È da precisare che la
versione TS, ossia Truppe Speciali, non risulta essere stata mai assegnata
ufficialmente a personale dell’Arma, ma la documentazione iconografica
pervenutaci autorizza a ritenere che di essa fossero dotati i militari
impegnati sul Podgora. Riprendendo la narrazione dell’armamento dei Carabinieri
nel terzo cinquantennio di vita dell’Istituzione, è utile scorrere
panoramica-mente la situazione degli Stati europei nel set-tore degli arsenali
militari, specificamente per quanto attiene alle armi individuali. Il fucile e
il moschetto restavano i mezzi di dotazione individuale maggiormente
utilizzati, ancor più della pistola, non essendo l’assegnazione di quest’ultima
generalizzata a tutti gli uomini in armi. Sul fucile, pertanto, si
concentrarono gli studi dei laboratori balistici di tutti gli Stati. Il nostro
Carcano, ossia il moschetto 91, ade-guandosi agli standard dell’epoca, si
dimostrò una valida e progredita arma individuale. Contemporaneamente venne
riservato un atten-to interesse per le armi di reparto, che si accin-gevano ad
esordire in campo bellico con riso-lutiva predominanza. Dalla tabella a piè di pagina
si può rilevare che soltanto la Francia ci aveva preceduti nell’adozione di un
fucile di concezione moderna, il Lebel, il cui prototipo risaliva al 1886. E
non deve sorprendere. Lo Stato transalpino, era già stato pioniere, nel1866,
con lo Chassepots a ricarica rapida, feli-cemente sperimentato a danno dei
garibaldi-ni l’anno successivo a Mentana. Quanto alle pistole, il confronto con
la produ-zione europea non poneva il nostro Paese all’avanguardia. La nostra
Glisenti 9 mm, ideata nel 1910, si rivelò poco robusta, tant’è che,interrottane
la produzione, venne sostituita dal revolver Bodeo, risalente al 1889 e, più tardi,
dalla Beretta 7,65 automatica. Gli altri Eserciti europei, che sarebbero stati
coinvolti nella Grande Guerra (1914-18), disponevano di pistole destinate ad
una carriera longeva, se non addirittura al mito, come la tedesca Luger 9 mm
Po8. I Carabinieri, in quanto arma combattente, sischierarono in battaglia col
Primo Reggimento Mobilitato già al momento dell’entrata in guer-ra dell’Italia
contro l’Austria, nel maggio 1915. Nel luglio successivo, parteciparono alla
Bat-taglia sulle pendici del Podgora. Dal Diario di guerra del proprio
Comandante, il Colonnello Luigi Vannugli, rileviamo che il Reggimento comprendeva
anche delle “Sezioni Mitragliatrici”al comando dei Tenenti Pietro Gaveglio,
Gu-stavo Fiore e Ulrico Carozzi. Tali reparti, per-tanto, furono tra i primi ad
essere dotati della nuova arma di reparto, esattamente la mitragliatrice
FIAT-Revelli Mod.1914, con la quale svolsero la preparazione alla battaglia del
19luglio 1915. Però, durante l’epico fatto d’arme,essa non sparò un solo colpo,
avendo il Reggi-mento Carabinieri ricevuto l’ordine di portare l’attacco alla
quota 240 esclusivamente all’ar-ma bianca. E così fu, mentre dall’alto gli
au-striaci riversavano sugli uomini del Col. Vannugli, con accanimento, tutto
il loro potenziale di fuoco. Il progetto di quest’arma di reparto risaliva
al1910, per opera di Abiel Revelli, che modificò la mitragliatrice Perino Mod.
1908, ritenuta ormai obsoleta. Prodotta in grandi quantità durante il conflitto
dalla MBT (Metallurgica Bresciana Tampini), la FIAT-Revelli Mod. 14sirivelò
inizialmente poco affidabile, in quanto soggetta a inceppamenti. Tale
inconveniente era causato dal sistema di alimentazione dotato di una pompetta
per l'olio, il quale lubrificava ogni colpo prima di incamerarlo,cosicché
potesse scorrere meglio. Purtroppo,l'olio si univa con la polvere che entrava
nel meccanismo, creando una pasta granulosa che faceva bloccare il meccanismo
stesso. L’arma disponeva di un sistema di raffredda-mento ad acqua, che operava
attorno alla canna a mezzo di un manicotto in cui era con-tenuto il liquido
raffreddante. Esistevano due versioni dell'arma, una con manicotto
liscio,un'altra con manicotto ondulato con nervatu-re di irrigidimento, che
aumentava la dissipa-zione del calore. Una ulteriore caratteristica era lo
scatto dell'otturatore, che permetteva la raffica sia continua che
intermittente. Il calibro dell’arma si dimostrò insufficiente, infatti, le munizioni,
contenute in una cassa da 50 colpi,erano le stesse del Carcano Mod. 91,il
fucile in dotazione all'Esercito Regio. Le cartucce erano pertanto facilmente
reperibili. Altro pro-blema riguardava il caricatore fisso, i cui 50colpi erano
divisi in 10 compartimenti, il che diminuiva la capacità di fuoco. In seguito
al Primo conflitto mondiale, la FIAT 1914fuanche utilizzata in Libia contro i
ribelli fino al1931. La sua produzione terminò nel 1935,quando poi fu
modificata e sostituita dalla FIAT-Revelli 35.La Grande Guerra offrì
l’occasione agli eserciti di tutto il mondo di sperimentare ogni tipo di arma
scaturita dalle ricerche effettuate a cavallo del XIX e XX secolo. Per quanto
riguar-da l’Esercito Italiano, abbiamo già riferito della mitragliatrice. Per
il fucile, ampiamente descrit-to sulla passata Agenda, limitatamente alla versione
corta, ossia con baionetta ripiegabi-le, nelle pagine precedenti abbiamo
delineatole caratteristiche delle versioni lunghe, con baionetta separata.
Questo modello, di cui erano dotati tutti i reparti a piedi, compresi i Carabinieri
in prima linea,era stato adottato in sostituzione del moschetto T.S. mod.
70/87, il 6gennaio 1900.
Le nuove pistole
Per le pistole, occorre
premettere che durante la Grande Guerra i vari Corpi, pur essendo dotati di
modelli specificamente prescritti, sitrovarono in casi non infrequenti a
utilizzare tipi diversi di cui disponevano gli arsenali delle Grandi Unità. I
Carabinieri, infatti, ven-nero dotati di pistole Glisenti, Brixia, Tettoni,Beretta e addirittura della
Bodeo del 1889,obsoleta, ma destinata ad una longevità a prova di due guerre
mondiali, la prima del1914-18, la seconda del 1939-45. Su questo revolver è
opportuno soffermarsi per alcune considerazioni, che concernono il problema dell’armamento
affrontato da vari Stati, com-preso il nostro. Se alcuni eserciti, primo fra tutti
quello tedesco, si presentarono al conflit-to con sufficienti scorte di armi e
munizioni,altri sottovalutarono le proporzioni dello scontro armato che stava
per sconvolgere l’in-tero pianeta e si trovarono nella necessità di correre
urgentemente ai ripari. Questa situazione favorì il revolver Tettoni,
praticamente scono-sciuto fino alla scoppio della Grande Guerra. La prima delle
Nazioni belligeranti ad entrare in crisi produttiva fu la Francia, seguita
dall’Italia.Le due nazioni dovettero rivolgersi alle fabbri-che spagnole
specializzate nella produzione di un revolver derivato dal Bodeo 1889, che differi-va dall’originale soltanto
per la presenza delmarchio. Calibrata
per l’Esercito Italiano in mm.10,35, prese il nome della ditta importatrice
diBrescia, la Tettoni, e non ebbe mai una adozio-ne formale, ma solo lo status di
arma integrativa. In effetti sulle guancette e sul lato destro figura soltanto
il logo del produttore, una "OH"che attribuisce la produzione
dell'arma alla“Orbea Hermanos”, ditta basca di Eibar, specia-lizzata nella
produzione armiera. Nessun mar-chio ne indica l’appartenenza alle forze armate del nostro Paese e la
stessa ditta Tettoni non tentò nemmeno di assegnare il suo nome a quel revolver,
che, seppure senza una assunzione ufficiale, ebbe notevole utilizzazione da
parte delle nostre truppe col nome di Modello 1916,ma generalmente confuso col
revolver Bodeo.Una storia meno contorta ha la pistola Glisenti,derivata da un
modello progettato nel 1905dall’ufficiale di artiglieria Abiel Bethel
Revelliper conto della Società Siderurgica Glisenti di Carcina (BS).
Inizialmente di calibro 7,65, l’ar-ma ricalcava nella concezione e nelle linee
la tedesca Luger, di cui però non eguagliava l’effi-cienza. La versione
impiegata nella Grande Guerra risaliva al 1911 col nome di Pistola mod.1910.Era
caratterizzata da una canna lunga 95mm. a sei righe interne destrorse, avvitata
alla culatta, questa di forma squadrata, entro cui si muoveva l’otturatore. La
culatta scorreva, a sua volta, sul castello dell’arma tramite due guide. Il
caricatore, con una capacità di sette cartuc-ce, era alloggiato nell’impugnatura
con inseri-mento dal basso. Dalla Glisenti mod. 1910 derivò nel 1912 la pistola
Brixia,versione semplificata e anche migliorata rispetto al modello da cui
traeva origine. Il perfezionamento consisteva nell’ir-robustimento di alcune
parti e nella modifica alla sicura. Fu proprio questo secondo inter-vento ad
assegnare al meccanismo la scher-zosa definizione “sicura a prova di
stupido”,riferita al fatto che la stessa sicura serviva ad evitare la
percussione a caricatore estratto senza tener conto che sarebbe potuto rimanere
il colpo in canna. La Brixia, il cui nome derivava da quello latino di Brescia,
aveva il pregio di costare molto meno rispetto alla Glisenti, il che ne
giustificò la produzione su larga scala nelle fasi finali della Grande Guerra.
Il conflitto era da poco iniziato quando lo Stato Maggiore italiano si rese
conto che lo scontro armato tra Francia, Germania, Austria-Ungheria,
Inghilterra, Russia e Italia rischiava di assumere dimensioni imprevedibili e
il coinvolgimento di altri Paesi, giustificando l’aggettivo “mondiale”, per la
prima volta attri-buito ad una guerra. Tale considerazione comportava la
necessità di adeguare con urgenza il proprio armamento alle esigenze emerse già
agli inizi del 1915. Una prima deci-sione fu quella di rivolgersi ad una antica
armeria, la “Pietro Beretta” di Gardone Val Trompia (BS), che aveva da qualche
tempo realizzato un prototipo di pistola automatica ideata dal capo progettista
Tullio Marengoni.Si trattava di un’arma di facile costruzione,dalla meccanica
ridotta all’essenziale e, cosa più importante, dal basso costo. La produzione
venne avviata in tutta fretta e i primi esemplari furono già pronti nel giugno
del1915. Si trattava di una pistola assai maneggevo-le, semiautomatica, con
canna in acciaio sol-cata da sei righe destrorse, in calibro 9 mm. Glisenti.
Quest’ultimo dettaglio era di grande rilevanza, in quanto consentiva che
l’approvvigionamento delle cartucce fosse unico per due diversi modelli di
pistola. Della stessa arma, prodotta in oltre 15.000 esemplari per gli
Ufficiali di tutte le Armi, venne successiva-mente realizzata una versione
calibro 7,65,che differiva dal modello da cui derivava perle dimensioni minori,
per l’assenza della sicura posteriore sul castello e della molla ammortizzatrice
di rinculo e per la mancanza dell’esplulsore, oltre che per altri dettagli minori
relativi al disegno. La calibro 7,65 venne assegnata ai reparti combattenti
dopo la sua presentazione alla Direzione di Artiglieria,avvenuta nel luglio
1917. Il successo della pistola Beretta nelle versioni iniziali incoraggiò la
casa di Brescia a sperimentare nuove soluzioni tecniche, atte a migliorare
l’arma, anche nella prospettiva di soddisfare la crescente richiesta da parte
dei privati. Nel 1922, venne quindi messo in produ-zione un modello che risultò
poco convincente,le cui innovazioni tecniche riguardavano in particolare
l’espulsione dei bossoli attraverso un’unica apertura sul carrello, la leva
della sicu-ra e il fissaggio della canna ottenuto con un incastro longitudinale.
Esteticamente, l’unica variante di rilievo era nelle guanciole dell’impugnatura,
non più in legno, ma in metallo bruni-to. L’Arma dei Carabinieri esitò nel
prenderlo in considerazione per i suoi Ufficiali, in attesa che venisse avviata
la produzione di un ulteriore modello, presentato l’anno successivo con la sigla
M° 23, che venne adottato in coincidenza con il ritorno al turchino della
divisa da Carabiniere, avvenuto in quegli anni dopo la parentesi della Grande
Guerra e del successivo periodo di ristrutturazione ordinativa. La M°
23,tuttavia, non ebbe il successo sperato: gli stessi Ufficiali la
consideravano alquanto ingom-brante e piuttosto massiccia. Ciò nonostante,
sebbene prodotta in poco più di 10.000 esemplari, sopravvisse fino al 1934,in
buona compagnia del revolver mod. 89, che continuava ad equipaggiare i
Sottufficiali e i militari di truppa. Occorsero circa venti anni alla casa
Beretta di Brescia per assicurare al suo nome una fama duratura, ottenuta col
Modello 1934. Ma prima,nel 1932, aveva sperimentato nuove soluzioni intervenendo
innovativamente sul M° 23conuna linea decisamente più elegante e con
l’a-dozione del calibro 9 corto in sostituzione del calibro 9 Glisenti,
definitivamente abbando-nato. Si trattò di una pistola dalla vita molto breve,
giustificata dal carattere sperimentale del prodotto, da cui derivò l’arma
corta più longeva mai adottata dalle Forze Armate italiane, chiamata Modello 34
dall’anno in cui apparvero i primi esemplari. A partire dal1938, la Beretta M
34 venne distribuita a tutti i militari dell’Arma, di qualunque grado, per restare
in dotazione fino al 1977, quando sarà sostituita dal Modello 92/S calibro 9
mm. parabellum. Le caratteristiche di tale arma sono descritte nella pagina seguente, correlate aduna esauriente
documentazione fotografica.
Le sciabole
Parallelamente all’evoluzione nel
settore delle armi da fuoco individuali, sia corte che lunghe, nel periodo
storico che stiamo esaminando non si è verificata alcuna innovazione di rilievo
relativamente alle armi bianche, ossia riguardo alle sciabole. Rappresentativa
delle origini dell’Arma e delle sue tradizioni, la scia-bola ha conservato per
i Carabinieri soprattutto un significato emblematico. Le variazioni succedutesi
nel tempo nella sua forma, nelle misure e nel peso hanno inciso minimamente sulla
sua funzione e utilizzazione, slittata progressivamente verso un ruolo
unicamente uniformologico. Pertanto, proprio in ossequio alla sua finalità
conservatrice dell’immagine del Carabiniere, le innovazioni sono state nel tempo
contenute a irrilevanti interventi nella forma del fornimento, ossia dell’elsa
e della manopola, tant’è che a partire dal Modello 1871,descritto nella
precedente Agenda, si può dire che la sciabola da Carabiniere si sia avviata verso
una standardizzazione irreversibile. Tale modello, con modifiche quasi
impercettibili, è lo stesso in uso ai giorni nostri, cioè il Mod.71/29, dove 71
sta per l’anno iniziale di adozione e 29 per l’anno di aggiornamento. Si tratta,
in sostanza, della stessa sciabola nichelata adottata per i Marescialli a piedi
il 7 luglio1927, con lama ad un filo, leggermente curva,guardamano a due else,
cappetta corta, pomoa spicchi, impugnatura di legno zigrinata e fodero in
lamiera d’acciaio a due campanelle. Le differenze, invero modeste, furono:
guarda-mano più stretto ed impugnatura in legno natu-rale liscio. Nel 1933
l’uso di questo modello venne esteso anche ai Marescialli a piedi, con la modifica
dell’impugnatura, che per questi era di ebanite nera zigrinata. I Brigadieri a
piedi,con la grande uniforme e con l’ordinaria, in ser-vizio dovevano però
portare la dagamodello1814/34. I Marescialli a piedi hanno ancora oggi la
sciabola mod. 29/33, che però non è più indi-viduale, ma è in dotazione di
reparto. La sciabola mod. 71/29per i Brigadieri a cavallo, tuttora in uso, è la
normale 71, nichelata, con impu-gnatura in legno naturale e fodero a due
cam-panelle. I Marescialli l’avevano e l’hanno tuttora con impugnatura in legno
nero. Altri dettagli sono riportati nella tavola della pagina a fronte. Per
quanto attiene alla sciabola da Ufficiale, i Regolamenti relativi al periodo di
cui trattiamo sono particolarmente sobri. La “Modificazione alla divisa degli
Ufficiali”del 17 novembre 1927si limita laconicamente al Capo I, paragrafo 4,ad
indicare “sciabola con pendagli e dragona di grande uniforme”. Nel successivo
“Regolamento sull’uniforme” del 20 luglio 1931, all’art. 139 si precisa:
“Sciabola -È quella prescritta per gli ufficiali di cavalleria; è obbligatoria
con tutte le uniformi”. Andando a ritroso, scopriamo che la prescrizione risale
al 1873, anno in cui ne ven-nero precisate le caratteristiche, rimaste
prati-camente invariate, salvo che nelle tre fenditu-re della guardia, che dai
documenti fotografici pervenutici risultano più ampie.
Verso l’epoca attuale
Un passo rilevante nell’armamento
dei Corpi armati italiani, parallelamente a quanto avve-niva nel resto del
mondo, si verificò già agli inizi degli anni ‘20, quando l'Esercito Italiano radiò
tutte le armi automatiche leggere in dotazione, per poi riequipaggiarsi con le mitragliatrici
leggere FIAT 24e la Breda 9C, la cui vita fu breve e scarsa di successi. Fu con
la presentazione, nel 1930, della Breda 30, che ebbe inizio l’epoca attuale
delle armi automa-tiche italiane, sia individuali che di reparto. Classificato
come fucile mitragliatore, il Breda Modello 30fu prodotto dal 1931 fino al 1946
e venne largamente impiegato dall'Esercito Italiano in tutti i teatri di
guerra. Già nel 1940risultavano costruiti oltre 30.000 esemplari. Queste le
caratteristiche: Peso: 10,80 kg;Lunghezza: 1,23 m.; Lunghezza della canna:520
mm.; Calibro: 6,5 ×52 mm.; Azionamento automatico con canna e otturatore
rinculanti;Cadenza di tiro: 475 colpi/min.; Velocità alla volata: 618 m/s; Tiro
utile: 800 - 900 m.;Alimentazione: caricatori da 20 colpi. Nel 1938 venne
presentata un’arma intera-mente automatica ideata dall’inesauribile Tullio
Marangoni, il già citato capo progettista della Fabbrica d’Armi Beretta di
Gardone Val Trompia. Si trattava di un’arma a ripetizione leggera, dalla
straordinaria capacità di fuoco, cui venne subito assegnata la definizione di fucile
mitragliatore per la sua maneggevolez-za. La differenza rispetto alle
preesistenti mitragliatrici era nel suo carattere di arma indi-viduale, che la
distingueva dalle pesanti e ingombranti
armi a fuoco continuo di reparto. La sua omologazione da parte dell’Ispettorato
di Artiglieria avvenne nel 1938 con la sigla M.A.B 38, modificata in M.A.B.
38/A dopo una breve fase sperimentale, durante la quale l’ar-ma subì
perfezionamenti non rilevanti, ma definitivi. Le caratteristiche erano: Peso
4.8 kg;Calibro 9 mm x19; Tipo di munizioni, 9 M38Fiocchi, 9 mm parabellum;
Cadenza di tiro, 550 colpi al minuto; Velocità alla volata, 390m/s (9mmx19
Para), 410-420 m/s (9M38 Fiocchi9x19); Tiro utile 100-200 m; Alimentazione caricatori
da 10, 20, 30 o 40 colpi. L’imminenza del Secondo Conflitto Mondiale, il cui
pericolosi avvertiva incombente, indusse il nostro Stato Maggiore Generale ad
accelerare la pro-duzione della nuova arma, l’unica che in qual-che misura
consentiva al nostro Paese di affrontare, minimamente preparato, l’even-tuale
partecipazione al conflitto. E fu proprio il M.A.B. 38/A a consentire ai nostri
militari di esprimere il loro eroismo, anche in situazioni di estrema
inferiorità numerica, come accad-de in Africa Orientale, sulle aspre alture di Culqualber,
ove nel 1941 il Battaglione Carabinieri Mobilitato tenne lungamente testa ad un
intero esercito agguerrito.