Ecco una rubrica dedicata al comune cittadino che spesso non sa come difendersi dalle lungaggini amministrative, dagli errori e dai tentativi di frode che giornalmente furboni e incompetenti fanno gravare sulle spalle della gente onesta.
Risponderemo, di volta in volta, alle domande che invierete alla redazione di Reggio Italia Inchieste. Scrivete all'indirizzo email: red.italiainchieste@libero.it 
I cittadini di Reggio Calabria da anni si lamentano della non potabilità dell'acqua che fuoriesce dai rubinetti delle loro case nonostante in fattura il Comune chieda il pagamento del servizio di depurazione.
E, allora, l'acqua è effettivamente potabile e il servizio va corrisposto oppure è possibile ottenere tutela da questo indebito esborso di denaro? 
La redazione rivolge il quesito all'Avv. Germana Santagati appartenente al Foro di Reggio Calabria, esperto in tributi.
"L’art. 2 T.U. del Regolamento per la concessione dell’acqua potabile attualmente vigente nel Comune di Reggio Calabria, espressamente dispone che “ L’acqua è principalmente concessa per uso potabile e d’igiene”, ne consegue che la fornitura di acqua non utilizzabile “ a fine potabile e/o d’igiene”, fa sorgere in capo all’Ente, responsabilità contrattuale ed extracontrattuale per violazione di legge (T.U. acqua potabile).
E' da sapere, inoltre, che la non potabilità dell'acqua nella città di Reggio Calabria è stata, poi, ufficialmente riconosciuta  di recente  con Delibera Comunale, con la quale è stata disposta la riduzione  del canone acqua  riferito alla potabilità, in misura del 50%, per gli anni 2002/2007. 
Infine, con nota del Dirigente dell’Unità Operativa Manutenzione Lavori Pubblici  del 2010, a corollario della precedente delibera, veniva estesa, vieppiù, la non potabilità dell’acqua fino al novembre 2009 nella zona Centro storico e Reggio nord e dichiarato il persistere della non potabilità nella zona Reggio sud, fino alla zona di Bocale.
Pertanto, consiglio di presentare immediatamente ricorso per ottenere la restituzione del canone idrico indebitamente versato".
Per ogni ulteriore ragguaglio: avv.santagati@libero.it.
Risponde l'avv. Germana Santagati di Reggio Calabria
1.Cosa s’intende per danno da ‘vacanza rovinata’? 
Il danno cd da ‘vacanza rovinata’ è quel tipo di danno provocato al  viaggiatore a seguito di inadempimento contrattuale da parte  dell’organizzatore. 
L’art. 93 del Codice del Consumo statuisce che in caso di mancato o  inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del  pacchetto turistico, l’organizzatore e il venditore sono     tenuti al risarcimento del danno, secondo le rispettive  responsabilità, se non provano che il mancato o inesatto adempimento è  stato determinato da impossibilità della prestazione     derivante da causa a loro non imputabile. L’organizzatore o il  venditore che si avvale di altri prestatori di servizi è comunque tenuto  a risarcire il danno sofferto dal consumatore, salvo il     diritto di rivalersi nei loro confronti. La categoria ricomprende  sia il danno patrimoniale ( quale ad es. le eventuali spese affrontate dal viaggiatore necessarie per l’utilizzo di     servizi alternativi a quelli non fruiti) che il danno non patrimoniale, ossia il c.d. “danno da vacanza rovinata” da alcuni ricondotto     al cd. “danno esistenziale”, ossia quello  determinato da nervosismo, ansia e frustrazione sopportati a causa  dell’inesatta esecuzione della prestazione promessa nonché     quello per mancata ‘fruizione della vacanza’ come legittimo diritto a  godere di un momento di svago e di distacco dalla quotidianità. 
Si ricorda, inoltre, che il riconoscimento del diritto al  risarcimento del danno non patrimoniale da “vacanza rovinata” è espresso  anche dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia CE (sent.     12.03.2002) chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale  sull’interpretazione delle disposizioni di cui alla direttiva  90/314/CEE. 
2. Qual è la disciplina giuridica di riferimento in tema di danno da ‘vacanza rovinata’? 
 In seguito all’abrogazione del  D. Lgs. n.111/95  (con cui è stata data attuazione     alla direttiva n. 90/314/CEE), la materia è adesso confluita nel  Codice del Consumo che contiene tutta una disciplina, di ispirazione  comunitaria a tutela- fortemente rafforzata- del consumatore     quale soggetto ‘debole’ del rapporto contrattuale. Nello specifico,  il riferimento va fatto agli artt. 82-100 del predetto codice che  disciplinano i contratti di viaggi. 
3. Qual è l’ambito di applicazione della disciplina e l’oggetto ? 
Tale disciplina si applica ai pacchetti turistici venduti od offerti in vendita nel territorio nazionale, ancorché negoziati al di fuori dai locali o a distanza. I pacchetti     turistici hanno ad oggetto i viaggi, le vacanze ed i circuiti tutto compreso  venduti od offerti in vendita ad un prezzo forfetario, di durata     superiore alle ventiquattro ore (ovvero comprendente almeno una  notte) e risultanti dalla prefissata combinazione di almeno due dei  seguenti elementi: 
- trasporto
- alloggio
- servizi turistici non accessori al trasporto o all’alloggio che costituiscano parte significativa del pacchetto turistico.
I contraenti sono: 
- organizzatore di viaggio, che si obbliga in nome proprio e verso corrispettivo forfetario a procurare a terzi pacchetti turistici;
- venditore, il soggetto che vende, o si obbliga a procurare pacchetti turistici verso un corrispettivo forfettario;
- consumatore di pacchetti turistici, l’acquirente, il cessionario di un pacchetto turistico o qualunque persona anche da nominare, purché soddisfi tutte le condizioni richieste al quale deve essere rilasciata una copia del contratto stipulato, sottoscritto o timbrato dall’organizzatore o venditore.
4. Quali sono le vie da intraprendere per ottenere il risarcimento? 
Innanzitutto documentare i ‘disagi’ sofferti, ovvero, fornire la  prova. Scontrini, titoli di viaggio alternativi, fatture, riproduzioni  fotografiche o quant’altro possa servire a supportare le     vostre richieste. 
Solitamente  le cause  finiscono sullo scranno dei Giudici di Pace. 
Ulteriore strumento è costituito dall’ Azione di classe altrimenti  detta class action disciplina dal nuovo art. 140 bis del codice del  consumo che permette a più utenti di un servizio che si     presumono essere stati’lesi’ di agire collettivamente in giudizio  contro il medesimo interlocutore. I vantaggi? Sicuramente nel permettere che la difesa da un fatto     che ha procurato un danno possa avvenire in maniera economicamente sostenibile. 
Consente, inoltre, l'accesso alla giustizia anche ai c.d. "small claims",  ossia a quei piccoli abusi di ogni giorno per i quali non è  economicamente     conveniente pensare ad una causa ma che moltiplicati per il numero  di consumatori coinvolti, generano un enorme guadagno illecito per i  soggetti che li perpetrano. 
 Ha un'efficacia preventiva perché scoraggia condotte illecite in quanto,  aumenta il rischio per il convenuto di essere perseguito     legalmente e di dover sopportare i costi della propria azione  lesiva, nonché crea la possibilità di essere condannato al pagamento di  un ulteriore per aver commesso, in malafede, un fatto     grave. 
Infine, sul piano della certezza del diritto, elimina la possibilità di giudicati individuali     contrastanti: fatto salvo il diritto per ogni consumatore di  dissociarsi dalla classe in ogni momento, agevola l'attività dei  tribunali, spesso sommersi da una serie infinita di ricorsi     individuali e garantisce uniformità di diritto per tutti gli  appartenenti alla classe. 
Avv. Germana Santagati
    Per ogni ulteriore ragguaglio, Vi invito a contattare il mio studio all'indirizzo e-mail: avv.santagati@libero.it.
 


 
