(AGI) - Catanzaro, 7 mar. - Beni, aziende e disponibilita' finanziarie, per un valore di 35 milioni di euro, sono stati sequestrati nell'ambito dell'operazione contro il clan Mancuso di Limbadi (Vv), sfociata stamane nell'esecuzione di un provvedimento di fermo emesso nei confronti di 24 presunti esponenti del clan. L'operazione e' oggetto di una conferenza stampa indetta alla presenza del procuratore di Catanzaro, Vincenzo Antonio Lombardo, e del procuratore aggiunto con delega all'antimafia, Giuseppe Borrelli. La vasta indagine antimafia, diretta e coordinata dai magistrati Marisa Manzini e Simona Rossi, titolari dell'inchiesta, e' culminata questa notte in un'operazione congiunta degli uomini del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato, assieme ai colleghi della Squadra Mobile di Catanzaro, del Ros dei Carabinieri e del Gico della Guardia di Finanza di Catanzaro e Trieste. Nell'inchiesta sono contestati l'associazione per delinquere di stampo mafioso e numerosi reati fine, e le indagini hanno coinvolto quelli che sono ritenuti i vertici storici della cosca di Limbadi, una delle piu' pericolose nel panorama della criminalita' organizzata, operativa ben oltre i confini della Calabria, oltre a noti imprenditori vibonesi impegnati nei settori siderurgici e dei servizi turistici, nonche' un funzionario dell'Ufficio tecnico del Comune di Tropea. Tra i beni sequestrati figurano due societa'; un distributore di carburante con autolavaggio e bar; un supermercato; una concessionaria di autovetture; un bar nella piazza di Tropea; un panificio industriale e numerosi conti correnti bancari. A questo si aggiunge un villaggio turistico, formalmente intestato a un prestanome di origine nordafricana, composto da decine di appartamenti, piscina, market, due ristoranti, area camper e stabilimento balneare. Infine, il terzo filone dell'inchiesta, seguito dai carabinieri del Ros, che ha permesso di fermare Pantaleone Mancuso, ritenuto il capo della cosca, e il figlio Giuseppe Mancuso, 35 anni. Secondo i militari dell'Arma, i due avrebbero messo in piedi un qualificato circuito criminale nelle province di Vibo Valentia, Reggio Calabria e Crotone, con ramificazioni nel nord Italia. Il figlio Giuseppe avrebbe assunto la reggenza del clan durante la detenzione del padre, con i carabinieri che sono riusciti a ricostruire anche modalita' alternative alla fittizia intestazione di beni, attraverso le quali il sodalizio avrebbe acquisito la gestione e il controllo di attivita' imprenditoriali.
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