Le mani della ‘ndrangheta sul turismo calabrese. Dai
grandi traffici di droga ai villaggi turistici dello Ionio passando per un sofisticato
sistema europeo di riciclaggio del denaro sporco. “Quello svelato dall’inchiesta
Metropolis della Dda di Reggio Calabria – dichiara Nuccio Barillà della segreteria nazionale di Legambiente – è un
quadro inquietante non solo perché apre uno squarcio davvero profondo sulla modernità
della ‘ndrangheta e sulla sua capacità d’infiltrazione nel settore turistico
della regione, ma anche perché conferma dal lato giudiziario la posizione degli
ambientalisti, pronti a denunciare lo scempio ecologico e urbanistico prodotto
dalla costruzione dei residence, a partire dai rapporti Mare Monstrum ed
Ecomafia”.
Nell’estate 2010, infatti, la tanto vituperata Goletta
Verde di Legambiente compì un blitz a Brancaleone per accendere i riflettori
sul villaggio “Gioiello del mare” – che figura tra i 17 villaggi sequestrati,
di cui 12 nella Locride e altri 4 nella vicina Isca sullo Ionio, insieme ad
altre 1300 unità abitative per un valore complessivo di 450 milioni di euro –
costruito su un’area dallo straordinario valore ambientale, scelta come luogo
di nidificazione dalle tartarughe marine. Un blitz che, tanto per cambiare,
scatenò le ire degli uomini delle istituzioni locali e costò agli ambientalisti
addirittura una querela per diffamazione da parte dei titolari della società,
poi archiviata dal Tribunale di Roma. Dietro quel villaggio turistico, si
scopre oggi, c’è il famigerato clan Morabito di Africo, la potente costa del
boss Peppe “tiraddrittu”, capace di tessere una rete internazionale per i più
loschi affari – dalla droga ai traffici di rifiuti – e di coinvolgere
faccendieri di ogni risma.
“Le nostre denunce contro il villaggio “Gioiello del
mare” e la cementificazione selvaggia di quel tratto di costa calabrese erano
più che fondate – dichiara Nunzio Cirino Groccia della segreteria
nazionale di Legambiente, portavoce di Goletta Verde in occasione del blitz
dell’estate del 2010 – e a nulla sono valsi i tentativi di intimidirci con
azioni di querela per diffamazione che poi sono state archiviate. Chiediamo ora
alla magistratura di indagare anche su eventuali reati ambientali e urbanistici
commessi nel realizzare quei complessi turistici su una delle aree più delicate
e sensibili del mare italiano e le responsabilità degli amministratori locali
che hanno autorizzato lo scempio. Qualora fossero accertati reati di natura
urbanistici, non si potrà che procedere alla demolizione dei manufatti e al
ripristino dei luoghi”.
“È da lungo tempo che vigiliamo sul grande affare dei
villaggi turistici – dichiara Lidia
Liotta, coordinatrice del comitato scientifico di Legambiente Calabria –
dietro i quali non è difficile scorgere le manovre della ‘ndrangheta. La
magistratura ha fatto luce sulla vicenda, e dunque va reso merito al loro
prezioso lavoro, reso possibile dalla competenza degli uomini della Guardia di
Finanza. Ma la Calabria è ugualmente sconfitta: territori splendidi, coste
incantevoli, luoghi suggestivi sono stati macchiati dal cemento selvaggio,
nonostante le nostre puntuali e costanti denunce, a causa delle compiacenze di
burocrati e amministratori che consentono sistematicamente l’aggiramento delle
norme edilizie. Occorre continuare a vigilare contro questa sorta di
“illegalità autorizzata”, ma soprattutto la società calabrese deve imparare a
intervenire tempestivamente per difendere le nostre ricchezze ambientali, per
contrapporre al turismo della ‘ndrangheta il modello virtuoso del turismo
sostenibile”.
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