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lunedì 5 marzo 2012

ADICO: le news

Conti correnti, rincari ‘raffreddati’ ma restano tra i più costosi d’Europa

4 marzo 2012

La lobby bancaria si sta rivoltando contro l’esecutivo Monti, accusato di congegnare norme che minano l’attività creditizia e la redditività del sistema. Ma i servizi offerti sono all’altezza? L’Antitrust un anno fa avviò un’indagine conoscitiva contro il gattopardismo bancario, per “comprendere come mai nonostante un assetto del sistema profondamente modificato, i prezzi e la trasparenza continuino a segnalare un confronto competitivo ancora debole”.
Il Garante non ha ancora terminato quell’indagine. Frattanto i costi dei servizi base si confermano più freddi del carovita: la media per un conto corrente (dato Abi) cala da 114 a 111 euro tra dicembre 2010 a settembre 2011. Ma in assoluto i costi restano tra i più alti in Europa, e sarà difficile scendano in una fase in cui anche per cause esterne il settore è sotto scacco e assume funzioni sempre più “sociali”.
Proprio ieri il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha avvisato banchieri e azionisti: “Le banche in questa fase della crisi hanno la necessità di adottare politiche distributive degli utili che consentano di mantenere condizioni di adeguatezza patrimoniale, attuale e prospettica, coerenti con il complesso dei rischi assunti”. E i loro manager devono mantenere “un complessivo contenimento della remunerazione variabile, con particolari cautele sui bonus per l’anno in corso”.

I conti correnti
L’Ue accusa: oneri doppi ma pesano anche le tasse
Da anni i banchieri italiani litigano con i consumatori e la Commissione Ue sul reale costo di tenuta del conto corrente. Negli ultimi dati disponibili (a settembre 2011) il costo medio per il profilo medio, calcolato dall’associazione bancaria, è 111 euro l’anno, cui vanno aggiunti i 34,2 euro di bolli. Il costo medio sale a 122 euro (156,2 con bolli) se si usa molto lo sportello bancario, mentre chi punta sul web spende 100 euro (134 con bolli).
Banca d’Italia stima un costo medio di 110 euro. Opposte la conclusioni della Commissione europea, che in uno studio di ottobre 2010 assegnò all’Italia il primato dei costi: 295,66 euro medi annui, contro 114 euro della media Ue. Per l’Abi, la Commissione ha indagato solo i prezzi massimi di listino, senza contemplare i conti “a pacchetto”, qui diffusi. Mentre il commissario ai servizi finanziari, Michel Barnier, critica la metodologia italiana basata solo sui profili standard. La verità empirica sul costo dei conti bancari italiani sta probabilmente nel mezzo.

I profili standard
Un risparmio del 18% per chi opera on line
La Banca d’Italia, per agevolare il confronto e rendere più trasparente l’offerta sui conti correnti, ha introdotto due anni fa l’Indicatore sintetico di costo, che obbliga le vigilate a fornire costi annui per sei “griglie di adeguatezza”. Sui dati di settembre 2011, l’Abi ha calcolato che i giovani spendono, bolli esclusi, 95 euro l’anno, le famiglie a bassa operatività 112 euro, quelle a media operatività 144 euro, quelle a elevata operatività 141 euro, i pensionati a bassa operatività 87 euro, i pensionati a operatività media 122 euro.
Il risparmio per chi usa il canale online è in media il 18%. Dal punto di vista delle strategie commerciali, alcuni tra i maggiori operatori (Intesa Sanpaolo e Banco Posta) stanno concentrando su un’unica piattaforma di conto corrente, in una logica modulare per cui il cliente aggiunge (e paga) i servizi specifici al modello di base. Sul sito www. pattichiari. it è possibile confrontare il livello di prezzi e servizi.

Le operazioni
In cassa bonifico doloroso: anche due euro per l’sms
Quando si tratta di fare bonifici, domiciliare bollette, gestire pagamenti, la migliore soluzione per risparmiare è affidarsi alle tecnologie, che ormai abbattono i prezzi. L’Abi stima in 6,23 euro il costo di un bonifico per cassa verso una banca diversa dalla propria, mentre la cifra si dimezza se l’addebito è in conto corrente, e cala a 0,87 euro sui bonifici via Internet. Stessa dinamica per pagare le utenze domestiche: 3,16 euro al cassiere, 2,17 euro con addebito, 0,77 euro via internet e 0,09 euro con domiciliazione.
Nel 2011, quasi tutti i maggiori gruppi si sono inventati la trovata di chiedere una commissione – da 1 a 3 euro – per restituire i contanti depositati dai propri clienti sui conti. È diffusa, poi, la prassi bancaria di far pagare l’invio di documenti su carta intestata (fino a 12 euro, per alcuni casi riguardanti le posizioni in titoli), comprese le comunicazioni di trasparenza obbligatorie. Ma anche gli avvisi via sms sul cellulare in taluni casi possono costare (2 euro al mese), e un euro la richiesta allo sportello della lista movimenti.

Il cash
Usiamo troppo contante. Bancomat, quante trappole
L’Italia è il Paese dei contanti: per l’arretratezza tecnologica e finanziaria, per l’alta presenza di piccole e medie imprese, per l’ampia economia sommersa (compresa quella malavitosa). Le transazioni per contanti riguardano circa il 92% del totale, il 50% più che in Germania, il 31% più della media continentale. Il governo Monti ha vietato i pagamenti cash oltre la soglia di 1.000 euro. Il contante costa caro: alle banche che lo devono custodire in sicurezza, ai clienti su cui fatalmente gli istituti cercano di scaricare i costi.
Altri oneri scattano se gli utenti prelevano banconote dagli sportelli Bancomat, che in caso appartengano a network concorrenti caricano una commissione media di 1,62 euro. Escludendo le reti di banche online – prive di sportelli e che quindi rendono gratuiti i prelievi quasi ovunque – il balzello per l’utente si avvicina a 2 euro, a fronte di un costo di 0,56 euro che le banche si pagano tra loro. Un anno fa quel costo “all’ingrosso” fu ridotto su richiesta dell’Antitrust, finora senza benefici per i clienti finali.

I dossier titoli
Sulla ricchezza finanziaria effetto mini patrimoniale
A fine 2011 il governo Monti ha anche rimesso mano ai bolli sul risparmio, rivoluzionato a distanza di pochi mesi le misure introdotte dal governo Berlusconi. Producendo, in breve, un calo dei prezzi dei servizi finanziari misurati dall’Istat, che a gennaio, su un’inflazione in leggero calo (+3,2% su base annua) ha visto scendere del 2,3% su base annua le spese bancarie e finanziarie.
I tecnici dell’Abi stanno ancora analizzando questi numeri, inficiati dalla consuetudine dell’Istat ad annoverare i bolli statali nelle statistiche. La nuova tassazione riguarda tutti gli strumenti finanziari, tranne i fondi pensione e sanitari. Sul dossier titoli i risparmiatori pagheranno lo 0,10% del controvalore nel 2012, dal 2013 l’imposta salirà allo 0,15%. Il controvalore si calcola sul valore di mercato del portafoglio. Alla passata imposta di 34,20 euro a deposito, questa diventerà la soglia minima, estensibile fino a 1.200 euro (100 in più del tetto precedente) secondo gli ammontari.

Le imprese
Prestiti più gravosi, largo alla Cassa depositi
Di centrale importanza, in questa fase recessiva, è il sostegno che le banche possono dare alle imprese, non solo perché la contrazione creditizia in atto in tutta l’Europa mette a rischio la loro sopravvivenza. Secondo gli osservatori, più che sul costo dei servizi retail, l’effetto spread che ha rincarato sensibilmente i costi della raccolta bancaria ricadrà proprio sulle aziende. Nell’ultimo anno il tasso sugli impieghi a famiglie e imprese non finanziarie misurato dall’Abi è aumentato di 56 punti base, al 4,23%; e malgrado le facilitazioni della Bce c’è il rischio che salga ancora.
Ieri è stata annunciata la nuova convenzione tra l’Associazione bancaria italiana e la Cassa depositi e prestiti, che mette a disposizione delle banche un plafond di 10 miliardi di euro per sostenere le piccole e medie imprese (Pmi). Di questi nuovi fondi, due miliardi saranno dedicati a sbloccare i crediti che le imprese vantano verso la pubblica amministrazione, che spesso paga con tempi talmente lunghi da stritolare di fatto i creditori.

Le commissioni
È il nuovo casus belli che divide Abi e governo
il casus belli, tra Abi e governo, è la misura che nel decreto liberalizzazioni azzera le commissioni “a fronte della concessione di linee di credito, della loro messa a disposizione, del loro mantenimento in essere, del loro utilizzo anche nel caso di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido”. Una norma che ha scatenato l’ira dei banchieri e di Confindustria, perché potrebbe disincentivare l’erogazione di fidi per 2mila miliardi.
Ad alcuni osservatori la norma pare un modo un po’ estensivo di tagliare il nodo gordiano delle commissioni di massimo scoperto, soppresse dal Tesoro nel 2009 ma che gli istituti riesumarono sotto altre forme, malgrado le critiche di Antitrust e Bankitalia. Tuttavia l’odiata Cms, avvertita come una penale per lo sconfinamento, era già stata normata dal governo Monti, che a fine 2011 nel Salva Italia ha introdotto la “Commissione di istruttoria veloce”: fissa, proporzionata a somma, durata e tasso, e comunque non superiore allo 0,5% trimestrale della somma disponibile.

Carte di credito
Il tranello delle revolving: il tasso va oltre il 15%
In Italia circolano ormai 80 milioni di carte di pagamento, più del doppio rispetto al numero dei conti correnti. La carta di credito ha un costo tra i più importanti per il cliente: attorno a 30 euro l’anno. Le più insidiose, per quanto riguarda i costi, sono le carte prepagate e quelle revolving. Le prime, che hanno avuto un boom negli ultimi anni, hanno costi elevati, ma garantiscono di più chi le utilizza sul web o in assenza di conto corrente.
Le revolving sono veri finanziamenti con tassi di interesse altissimi (attorno al 15% il Taeg medio), quindi sono da evitare, a vantaggio di prestiti personali o dello scoperto di conto corrente. Tra le nuove misure passate nel decreto liberalizzazioni, anche quella che riduce le commissioni interbancarie a carico degli esercenti per transazioni con carte di credito, in vigore da giugno. Nel frattempo, saranno gratuite per acquirente e venditore le transazioni fino a 100 euro presso i distributori di benzina.



di Andrea Greco
fonte: repubblica.it









Danni da giochi d’azzardo, il governo scende in campo

4 marzo 2012

C’è “forte attenzione”, da parte del governo, sul tema dei rischi per la salute e della dipendenza creata dal gioco d’azzardo elettronico. Lo ha detto il ministro della Salute, Renato Balduzzi, dopo avere incontrato, a margine di una conferenza a Vercelli, il sindaco di Santhià, Angelo Cappuccio, che gli ha chiesto strumenti normativi per frenare la nascita incontrollata di sale da gioco: cinque nella cittadina che amministra (circa 9mila abitanti), comprese le due nuove aperture previste a breve, con oltre 110 slot machines e videopoker. “Sono maturi – ha detto Balduzzi – i tempi per il contrasto al gioco d’azzardo elettronico, che non ha solo implicazioni di ordine pubblico, ma è una vera e propria malattia sociale e rientra quindi nelle competenze del Ministero della Salute”. Balduzzi, interrogato sulla possibilità di un futuro intervento legislativo in materia, ha precisato di non voler in alcun modo scavalcare “la collegialità delle decisioni del governo”, ma ha ribadito la “forte attenzione” dell’esecutivo su questa problematica, che verrà affrontata, a quanto si apprende, insieme al Ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera.
«Se negli anni passati ci si accontentava di lotto e totocalcio, ora è caduto ogni freno e lo Stato biscazziere non ha pudore a liberalizzare tutto e il contrario di tutto, consentendone pubblicità ed accesso senza limitazione». Non ha peli sulla lingua Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari nel commentare, a margine di un’audizione parlamentare, gli aspetti sociali e sanitari della dipendenza dal gioco d’azzardo. Un fenomeno che nel nostro Paese fa registrare numeri spaventosi: 800mila persone soffrono di ludopatia (gioco d’azzardo patologico) e il giro di affari nel solo 2011 ha raggiunto i 76 miliardi di euro.
Dunque, un’autentica emergenza sociale denunciata dal presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, e rilanciata dal ministro della Cooperazione internazionale, Andrea Riccardi. Ne è scaturito un dibattito. Su un punto tutti i partiti – tranne i radicali – concordano: la pubblicità ai giochi e alle scommesse va vietata. Anche perché gratta e vinci, videopoker, slot machine, lotto e schedine “producono”, oltre che lucrosi guadagni per le casse dello Stato, anche famiglie sul lastrico, usura, riciclaggio.
«I costi sociali di questo dramma e dell’indotto illegale che la legalizzazione copre e rende “normale” – ha spiegato Belletti – rischiano di sfilare dal bilancio statale i proventi che il gioco ha portato». Il presidente del Forum loda l’iniziativa del ministro Riccardi che ha proposto «la modifica della legislazione in materia. Magari arrivando a vietare la pubblicità per ogni forma di gioco d’azzardo, come accade per il fumo». Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente dell’associazione di telespettatori cattolici Aiart, Luca Borgomeo, che ha espresso «soddisfazione per l’intenzione manifestata dal ministro di impegnarsi per vietare o regolamentare la pubblicità dei giochi d’azzardo. Che a gestire questa “bisca generalizzata” – ha aggiunto – sia anche lo Stato è motivo di ulteriore preoccupazione ed impone interventi immediati e diretti».
Su quello di vietare la pubblicità è intervenuto il vescovo Giovanni D’Ercole, segretario della Commissione episcopale per le comunicazioni sociali, che, interpellato da Radio Vaticana, ha detto che gli spot non sono certo «da incoraggiare. Sul proibirla, non saprei se spingermi fino a questo, perché in un mercato libero l’idea che si proibisca qualcosa qualche volta favorisce ancora di più. Però – ha precisato –, se dobbiamo dare una valutazione dal punto di vista etico, il pensiero del ministro mi pare una preoccupazione giusta».
È necessario, a detta del presule, lanciare «un grido di allarme» su questo fenomeno e prendere «tutte quelle misure per poter arginare questo rischio». E se il sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo ha messo in guardia dal ricorso al «proibizionismo» che potrebbe essere «controproducente», l’esponente Udc Paola Binetti ha risposto: «Fare educazione vuol dire fare proibizionismo? Fare prevenzione e formazione sulle ludopatie è un obbligo. Se ne parla troppo poco. Pubblicità sì, ma progresso, per diffondere, informare e aiutare».



Fonte:avvenire.it

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