La morte del trentenne rigger Matteo Armellini a Reggio Calabria ha scatenato polemiche di ogni tipo. A noi di Reggio Italia Inchieste ha suscitato rabbia. Sì, rabbia. Perché non è possibile morire sul lavoro nel 2012 e non è possibile farlo a 32 anni. Per tutti i giovani italiani trovare un'occupazione è quasi una chimera e perdere la vita perché il bisogno ti spinge ad accettare ogni tipo di mansione è inaccettabile. Così ho ripensato a Brunetta, capace di parlare di bamboccioni, di giovani che, cullati dalla famiglia, vanno alla ricerca di chissà quale lavoro di prestigio, rifiutando ogni altra possibile occasione.
Alla luce di questa morte, che segue di pochi mesi quella dell'altro rigger, Francesco Pinna, a Trieste, mi chiedo se non fosse più giusto pensare a migliorare questo Paese anziché lanciare accuse infondate ai giovani. Per i lavori usuranti il livello di sicurezza è bassissimo. Nel solo 2011 sono morte più di 1170 persone in tutta Italia per incedenti legati al lavoro, di cui 663 sui luoghi di lavoro. Un +11,6% rispetto al 2010. Dati più che allarmanti, questi. Se li abbiniamo a quello relativo alla disoccupazione giovanile, di recente giunto a oltre il 31% (senza conteggiare gli inattivi, i Neet, che sono circa il 25% dei giovani), il quadro non può che risultare desolante. Ma ai Brunetta non c'é mai fine, così prima Michel Martone, Viceministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, afferma che "Chi si laurea dopo i 28 anni è uno sfigato", poi il Primo Ministro Monti, durante un'intervista, sbotta: "L'impiego fisso è noioso". Come se non bastasse, i Ministri Fornero ("l'impiego a vita è un'illusione") e Cancellieri ("Gli italiani vogliono lavorare solo vicino a mamma e papà!") hanno poi rincarato la dose. Certamente i loro figli problemi in tal senso non ne hanno... E Martone, da vero raccomandato doc (Ma il vero raccomandato è lui - michel martone, sfigato, laurea, curriculum, viceministro, monti - liberoquotidiano.it; E questo è il 'giovane' al governo - l’Espresso), non può né capire, né interessarsi dei problemi dei giovani.
Così un giovane che aveva voglia di lavorare, per "non annoiarsi" aveva deciso di montare palchi, andando in giro per l'Italia, rinunciando alle comodità di un utopistico posto fisso vicino mamma e papà, ha infine perso la vita in questo squallido Paese in cui le regole cambiano in relazione alla necessità di pochi e in cui chi ha il sedere al calduccio non bada ai bisogni del vicino.
Altro capitolo. Se per Ramazzotti il Sud rappresenta il peggio, ricordi il rigger morto a Trieste. Le disgrazie sono tali ad ogni latitudine. Per inciso, non sentiamo la necessità di ospitare i concerti di un cantante ormai in declino e non accettiamo lezioni da chi non comprende quanto sia stato fondamentale il Sud per la crescita del Nord. Se non ci fossero i consumatori del Sud, condannati ad acquistare prodotti di industrie settentrionali, le imprese dell'Alta Italia avrebbero chiuso battenti già da molto tempo, vista la loro scarsissima competitività nei mercati internazionali.
E, per conoscenza del cantante romano, in quel palazzetto si sono esibiti artisti del calibro di Sting, Mark Knopfler, Claudio Baglioni, Biagio Antonacci, Ligabue e tantissimi altri, senza che fossero riscontrati problemi. Poi ci sono le disgrazie. Se verranno accertate colpe imputabili allo stato del PalaCalafiore, saremo i primi a mettere in evidenza le pecche dell'amministrazione ma fino ad allora, le parole di Ramazzotti sembrano alquanto inopportune.
Riconosciamo, infatti, le arretratezze del territorio, della distanza esistente con l'Europa e il resto del Mondo, non siamo così ottusi da non vedere la realtà. Non per questo, però, dovremmo essere esclusi da tutto, dagli eventi musicali ai collegamenti ferroviari, aerei o su gomma.
In tutta questa triste storia, l'unica verità è la perdita di un giovane che con il suo lavoro contribuiva, ogni volta, a regalare momenti di gioia e divertimento a tanti altri giovani come lui. Ogni sterile discussione in merito vale zero perché, come sempre accade in Italia, finita la spinta mediatica, il problema sarà dimenticato per poi tornare a galla alla prossima disgrazia.
Alla sua famiglia Armellini, invece, resteranno solo il ricordo e il dolore per l'assenza di un figlio morto per lavoro.
Pasquale Zumbo
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