Il governo Monti ha fatto finalmente una scelta chiara sulla questione del Ponte sullo Stretto. Infatti, nei giorni scorsi il CIPE ha revocato i fondi destinati al progetto del Ponte sullo Stretto di Messina.
Ciò significa una sola cosa: il Ponte non si farà. Speriamo davvero di poter considerare conclusa una delle pagine più nere della storia delle infrastrutture di questo paese, contrassegnata purtroppo troppo spesso dal modello delle cattedrali nel deserto.
A questo risultato si è giunti grazie alla grande battaglia che in tutti questi anni è stata condotta in Calabria ed in Sicilia da un vasto, forte ed organizzato movimento di lotta e di opposizione contro la costruzione del Ponte che ha dato voce, nelle sue diverse espressioni ed articolazioni, alla volontà contraria chiaramente espressa dalle popolazioni delle due regioni, del mezzogiorno e dell’intero paese.
Si chiude quindi la stagione della propaganda pontista, coincisa con l’ubriacatura berlusconiana, che ha bloccato qualsiasi tipo di intervento serio per questo territorio sull’altare di un’opera faraonica, inutile e dannosa. Adesso occorre sciogliere la Società Stretto di Messina, mettendo la parola fine ad un’operazione di regime che si voleva imporre a dispetto dei bisogni del territorio.
La somma di 1.624 milioni di euro recuperata con il definanziamento del Ponte sullo Stretto, che certamente era ben poca cosa rispetto agli 8,5 miliardi necessari per la realizzazione dell’opera, torna quindi nella disponibilità dello Stato e potrà essere destinata per garantire il primo finanziamento di un piano per la difesa del suolo e per migliorare ed ammodernare le infrastrutture nel Sud del paese.
Alla Calabria e al Sud servono collegamenti aerei, marittimi, stradali e ferroviari adeguati e funzionanti, strade e ferrovie moderne e sicure per garantire ai cittadini quel diritto alla mobilità che oggi è praticamente annullato dalle politiche nazionali del governo e di Trenitalia, Anas e Alitalia che penalizzano fortemente la nostra regione.
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