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sabato 17 marzo 2012

ADICO: le News

La Crescina ritirata dai negozi
17 marzo 2012
Addio Crescina. Il celebre prodotto per far ricrescere i capelli, sponsorizzato in passato dal Fenomeno Ronaldo, è stata ritirata dal mercato. La decisione è stata presa dalla stessa azienda svizzera che la produce, la Labo Europa, che ne ha contestualmente sospeso la campagna pubblicitaria. Il provvedimento è stato adottato a seguito di una lettera di diffida inviata alla ditta dal ministero della Salute. L’iniziativa è stata presa dopo l’apertura di un’inchiesta da parte della Procura di Torino sulla sua assenza di efficacia.
LE ANALISI: «NESSUNA CREDIBILITÀ». Secondo le analisi effettuate sul prodotto dall’Istituto superiore sanità hanno dimostrato che «Non vi è alcuna evidenza scientifica di un’attività del prodotto di far ricrescere i capelli», e hanno messo in discussione la credibilità chimica della «molecola innovativa» che veniva pubblicizzata.
GUARINIELLO INDAGA PER FRODE. A occuparsi della vicenda il pubblico ministero torinese Raffaele Guariniello, che ha iscritto nel registro degli indagati il titolare della sede italiana della Labo Europa, in provincia di Padova, con l’ipotesi di reato di frode di commercio.
NESSUN EFFETTO SULLE CELLULE STAMINALI. Secondo la pubblicità la Crescina era in grado di rigenerare le cellule staminali assopite, un’ipotesi del tutto falsa e mendace secondo gli studi dell’Istituto superiore di sanità, dal momento che il prodotto non avrebbe alcuna capacità di agire sulle cellule staminali o sul follicolo pilifero. D’altra parte se le affermazioni dell’azienda fossero vere il prodotto non potrebbe essere definito un cosmetico ma avrebbe dovuto essere qualificato come farmaco e, quindi, essere soggetto a tutta una serie di controlli prima della messa in commercio.




Benzina a quota due euro. Gli automobilisti in rivolta
16 marzo 2012
Grazie a un paio di distributori lungo la A14, la benzina brucia la soglia psicologica dei due euro al litro e ritocca il record storico di prezzo, stracciando quello del 1977. È una corsa senza freni quella della benzina verde (+18% da gennaio 2011) e del gasolio (+25,4%). I rialzi costeranno quasi 400 euro all’anno a famiglia. Ed è rivolta tra gli automobilisti che denunciano: siamo tartassati. La corsa senza freni della verde (+18% da gennaio 2011) e del gasolio (+25,4%) costerà quasi 400 euro all’anno a famiglia, calcolano le associazioni dei consumatori. A festeggiare invece è il fisco: le tasse pesano più del 50% sul prezzo alla pompa. E tra gennaio e febbraio, malgrado un calo del 9,6% dei consumi, il caro-pieno ha regalato all’erario un miliardo di entrate in più rispetto al 2011.
Il costo reale. Due euro per un litro di verde garantiscono di gran lunga all’Italia il primato (non ambitissimo) per il carburante più caro d’Europa. La strada per arrivare a questo salasso è però lunga e tortuosa: “Sa qual è il costo reale della benzina? – buttà lì Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia – Dieci centesimi. Quanto la si paga al distributore in Venezuela dove il governo la vende caricando solo le spese vive: il prezzo del greggio al pozzo e quello per trasformarlo in carburante”. Roma (purtroppo) non è Caracas. E il viaggio del barile di petrolio dal ventre della terra fino alla A14 è un’Odissea in cui il conto si moltiplica per venti.
Come è possibile? Il primo “balzello” scatta appena l’oro nero arriva in superficie. La compagnia di perforazione – calcola Nomisma Energia – paga al paese produttore una super-royalty attorno ai 60 centesimi al litro. La bolletta continua a correre quando la petroliera salpa le ancore per l’Italia: il noleggio della nave costa 2,5 centesimi al litro, la stessa cifra si spende per la logistica. Trasformare il greggio in raffineria costa altri 2,5 centesimi. Aggiungendo gli 8,7 centesimi di guadagno netto della compagnia e i 5,7 tra margini del distributore e spese al dettaglio, il conto è fatto: un litro di benzina arriva al confine italiano a un costo industriale di 0,8 euro al litro. Meno di un cartone di latte.
La mannaia delle tasse – Perché paghiamo due euro? Semplice: appena il barile entra nel Belpaese, l’erario ci mette lo zampino. Il 52% del prezzo della verde – 1 euro al litro circa – e il 56% di quello del gasolio sono tasse. Soldi che escono dalle nostre tasche per finire dritti dritti in quelle dello Stato. Nel 2011 il bilancio pubblico tricolore ha beneficiato di entrate per 37,3 miliardi (il 6,3% in più dell’anno precedente) grazie a Iva e accise sui carburanti.
L’elenco dei balzelli legati al pieno rasenta il surreale: paghiamo 1,03 millesimi di euro al litro per finanziare – 77 anni dopo – la guerra d’Etiopia, 7 millesimi per la crisi del Canale di Suez finita – assicurano i libri di storia – nel 1956. Alla voce fondi per catastrofi naturali sopravvivono accise stanziate per una serie di terremoti lunga vent’anni, dal Belice (5 millesimi di euro) all’Irpinia (3,8 centesimi). Quattro centesimi se ne vanno per fronteggiare l’emergenza immigrati dalla Libia, due per il contratto degli autoferrotranvieri del 2004. Gli ultimi due – la ciliegina sulla torta – li ha aggiunti il decreto Salva Italia del governo Monti per finanziare i trasporti pubblici locali. Dall’inizio del 2011 ad oggi le accise sulla benzina sono state riviste all’insù sei volte. E il prezzo medio della verde – spinto pure dall’aumento del greggio e dal calo dell’euro – è balzato da 1,471 a 1,864 al litro.
Chi paga il conto – Risposta facile: gli italiani. La nostra benzina è la più cara d’Europa. E non a caso chi abita vicino ad Austria, Slovenia, Francia o Svizzera fa il pieno, quando può, oltrefrontiera. Risparmiando dal 15% (in Francia) al 25-30% (in Slovenia) e dribblando circa 300 milioni di tasse l’anno. Il prezzo del pieno di verde per una station wagon con un serbatoio da 75 litri è salito dai 118 euro di un anno fa ai 139 di oggi.
L’unica soluzione per risparmiare, a questo punto, è comprare meno benzina. I consumi in Italia sono calati del 10% dal 2008 al 2011. E nei primi due mesi di quest’anno, complice il maltempo, la flessione è stata di un altro 9,6%. Il vero miracolo è che lo Stato, malgrado tutto, ha incassato tra gennaio e febbraio 5,5 miliardi di tasse sui carburanti. Un miliardo secco in più rispetto allo stesso periodo del 2011.
Chi ci guadagna. Erario a parte, la risposta è altrettanto facile: le grandi compagnie petrolifere – che pure tendono a piangere miseria – e gli Stati produttori. L’Eni ha annunciato ieri 6,8 miliardi di utili per il 2011. Briciole rispetto all’americana Exxon che l’anno scorso ha guadagnato la bellezza di 41 miliardi di dollari. Qualcosa come 112 milioni al giorno o 1.400 al secondo, notte e festivi compresi.
Un dividendo ancora più ricco se lo mettono in tasca i paesi dell’Opec. La pioggia d’oro (nero) garantita dai petrodollari ha regalato un patrimonio da 3mila miliardi ai fondi sovrani del Golfo Persico. Gli sceicchi fanno da anni collezione di banche, Ferrari, squadre di calcio, compagnie aeree e aziende in giro per il mondo. E lo stesso Gheddafi, nella non ricchissima Libia, era riuscito a mettere da parte (vendendo greggio) risparmi per un centinaio di miliardi oltre a quote nella Juventus, nell’Eni e in Unicredit. Quanto durerà il Bengodi? Dipende da tanti fattori: congiuntura economica, nuove fonti energetiche, stato di salute del bilancio tricolore. Una crisi geopolitica (basta guardare alla situazione in Iran e nel Golfo) potrebbe infiammare i prezzi del petrolio, dicono gli esperti. E in quel caso, nessun orizzonte è precluso. Nemmeno, purtroppo per noi, quello dei tre euro al litro.
di Ettore Livini

fonte: la repubblica.it

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