2 marzo 2012
E’ un filo rosso che collega milioni di persone, un male democratico, che può colpire tutti. Ma quando a soffrire di depressione è un padre, le conseguenze sulla salute e lo sviluppo dei figli possono essere molto pesanti.
Si parla ancora poco di male oscuro al maschile nella sfera familiare. Se il malessere della madre e le sue ricadute sulla vita mentale del bambino sono note e ben documentate, è solo recentemente che l’attenzione ha iniziato a focalizzarsi anche sull’altro genitore. Segno dei tempi, di ruoli che cambiano e di un coinvolgimento sempre più forte dei papà nel rapporto emotivo ed educativo con i figli.
Nei mesi scorsi uno studio condotto su un campione significativo 1 di 22mila famiglie americane lungo l’arco di quattro anni – sotto la guida dal dottor Michael Weitzman della New York University – ha evidenziato come le possibilità dei bambini e ragazzi di sviluppare problemi emotivi o comportamentali aumentano se vivono con un padre che mostra sintomi depressivi.
In particolare, secondo i dati raccolti dai ricercatori, il 15% dei bambini – dai 5 ai 17 anni d’età – hanno difficoltà emotive se abitano con un papà depresso. Valore che sale al 20 per cento se a stare male è invece la madre e che cala invece al 6 se entrambi i genitori sono in salute. Servono nuovi studi, avevano suggerito gli scienziati, sorpresi dai pochi dati a disposizione su larga scala, e politiche sanitarie adeguate che riconoscano l’importanza del ruolo paterno in modo da poter intervenire per tempo nell’interesse dei più piccoli.
Ora, in un seguito pubblicato nei giorni scorsi su Maternal and Child Health Journal, Weitzman e colleghi della NYU School of medicine 2 tornano sul tema concentrandosi questa volta sui fattori di rischio che possono predisporre il padre alla depressione. E arrivano a concludere che fra i diversi elementi che possono far predire possibili sintomi depressivi, il più evidente è la perdita del lavoro, più influente della povertà e dell’avere accanto un figlio malato o una madre depressa. Un risultato drammaticamente attuale, con implicazioni profonde in tempi di pesante crisi nel mercato dell’occupazione.
In famiglia i più piccoli sono vulnerabili ed estremamente sensibili e colgono perfettamente le emozioni che circolano all’interno della coppia. “Vedere un padre, che tradizionalmente mantiene la famiglia, depresso e sfiduciato genera un profondo senso di insicurezza nei figli, che dalla famiglia, finché sono piccoli, assumono la loro identità”, racconta la professoressa Anna Oliverio Ferraris, ordinaria di psicologia dello sviluppo all’università La Sapienza di Roma, che, proprio in questi giorni, ha in uscita in libreria il suo ultimo libro “Padri alla riscossa. Crescere un figlio oggi”.
“Il padre oggi non è più solo il bread-winner ma una figura d’attaccamento, che stabilisce molto presto rapporti emotivi col figlio”, continua la dottoressa. Se la cura dei più piccoli e la loro educazione prima era un affare di donne, oggi non è più così.
Il messaggio di Weitzman è chiaro: la figura paterna non può più essere trascurata. E i risultati dello studio possono aiutare ad identificare chi potrebbe trarre maggior beneficio da uno screening sui sintomi della malattia. “Quello che viviamo oggi è un momento particolare. I padri sono più fragili per diversi motivi e non solo per la congiuntura economica. C’è una condizione di vulnerabilità della famiglia in generale”, commenta il professor Giovanni Cioni, neuropsichiatria infantile, ordinario all’Università di Pisa e Direttore Scientifico dell’IRCCS Stella Maris per la Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza.
In questo quadro, il ruolo del padre diventa di assoluta importanza. “Oggi il 10 per cento dei bambini e adolescenti ha disturbi della vita mentale, di varia gravità”, aggiunge il professore. “E’ chiaro che intervenire in fretta su quelle che possono essere le cause, a partire dalla famiglia, diventa prioritario anche a livello clinico e sanitario. E concentrarsi solo sulla madre, come si è fatto a lungo, dà un quadro incompleto”. Il bambino oggi è maggiormente influenzato dal padre e del suo più stretto coinvolgimento nella vita del figlio ci si accorge tutti i giorni: basta guardarsi attorno a scuola, al parco o per strada. Un contesto che evolve, in cui i ruoli, appunto, mutano. “E’ normale allora che il focus sul padre cresca, anche nella letteratura scientifica”, conclude il professore.
Si parla ancora poco di male oscuro al maschile nella sfera familiare. Se il malessere della madre e le sue ricadute sulla vita mentale del bambino sono note e ben documentate, è solo recentemente che l’attenzione ha iniziato a focalizzarsi anche sull’altro genitore. Segno dei tempi, di ruoli che cambiano e di un coinvolgimento sempre più forte dei papà nel rapporto emotivo ed educativo con i figli.
Nei mesi scorsi uno studio condotto su un campione significativo 1 di 22mila famiglie americane lungo l’arco di quattro anni – sotto la guida dal dottor Michael Weitzman della New York University – ha evidenziato come le possibilità dei bambini e ragazzi di sviluppare problemi emotivi o comportamentali aumentano se vivono con un padre che mostra sintomi depressivi.
In particolare, secondo i dati raccolti dai ricercatori, il 15% dei bambini – dai 5 ai 17 anni d’età – hanno difficoltà emotive se abitano con un papà depresso. Valore che sale al 20 per cento se a stare male è invece la madre e che cala invece al 6 se entrambi i genitori sono in salute. Servono nuovi studi, avevano suggerito gli scienziati, sorpresi dai pochi dati a disposizione su larga scala, e politiche sanitarie adeguate che riconoscano l’importanza del ruolo paterno in modo da poter intervenire per tempo nell’interesse dei più piccoli.
Ora, in un seguito pubblicato nei giorni scorsi su Maternal and Child Health Journal, Weitzman e colleghi della NYU School of medicine 2 tornano sul tema concentrandosi questa volta sui fattori di rischio che possono predisporre il padre alla depressione. E arrivano a concludere che fra i diversi elementi che possono far predire possibili sintomi depressivi, il più evidente è la perdita del lavoro, più influente della povertà e dell’avere accanto un figlio malato o una madre depressa. Un risultato drammaticamente attuale, con implicazioni profonde in tempi di pesante crisi nel mercato dell’occupazione.
In famiglia i più piccoli sono vulnerabili ed estremamente sensibili e colgono perfettamente le emozioni che circolano all’interno della coppia. “Vedere un padre, che tradizionalmente mantiene la famiglia, depresso e sfiduciato genera un profondo senso di insicurezza nei figli, che dalla famiglia, finché sono piccoli, assumono la loro identità”, racconta la professoressa Anna Oliverio Ferraris, ordinaria di psicologia dello sviluppo all’università La Sapienza di Roma, che, proprio in questi giorni, ha in uscita in libreria il suo ultimo libro “Padri alla riscossa. Crescere un figlio oggi”.
“Il padre oggi non è più solo il bread-winner ma una figura d’attaccamento, che stabilisce molto presto rapporti emotivi col figlio”, continua la dottoressa. Se la cura dei più piccoli e la loro educazione prima era un affare di donne, oggi non è più così.
Il messaggio di Weitzman è chiaro: la figura paterna non può più essere trascurata. E i risultati dello studio possono aiutare ad identificare chi potrebbe trarre maggior beneficio da uno screening sui sintomi della malattia. “Quello che viviamo oggi è un momento particolare. I padri sono più fragili per diversi motivi e non solo per la congiuntura economica. C’è una condizione di vulnerabilità della famiglia in generale”, commenta il professor Giovanni Cioni, neuropsichiatria infantile, ordinario all’Università di Pisa e Direttore Scientifico dell’IRCCS Stella Maris per la Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza.
In questo quadro, il ruolo del padre diventa di assoluta importanza. “Oggi il 10 per cento dei bambini e adolescenti ha disturbi della vita mentale, di varia gravità”, aggiunge il professore. “E’ chiaro che intervenire in fretta su quelle che possono essere le cause, a partire dalla famiglia, diventa prioritario anche a livello clinico e sanitario. E concentrarsi solo sulla madre, come si è fatto a lungo, dà un quadro incompleto”. Il bambino oggi è maggiormente influenzato dal padre e del suo più stretto coinvolgimento nella vita del figlio ci si accorge tutti i giorni: basta guardarsi attorno a scuola, al parco o per strada. Un contesto che evolve, in cui i ruoli, appunto, mutano. “E’ normale allora che il focus sul padre cresca, anche nella letteratura scientifica”, conclude il professore.
fonte: la repubblica.it
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