“La disponibilità del maggiore colosso mondiale di bevande, come la «Coca Cola Company», di sedersi ad un tavolo e aprire un confronto su possibili «allineamenti strategici» con produttori locali di succhi e agrumicoltori di Rosarno, dimostra non solo il danno d’immagine internazionale che deriva dall’approfittare dello sfruttamento di personale sottopagato e senza diritti, ma anche l’alta qualità delle arance di Rosarno, alle quali, evidentemente la «Coca Cola Company» non intende affatto rinunciare”.
E’ quanto afferma il Segretario Questore del Consiglio regionale della Calabria on. Giovanni Nucera, a proposito della vicenda emersa sul sito www.theecologist.org, versione online della storica rivista ambientalista britannica, con una inchiesta, anche in video firmata da Andrew Wasley e poi ripresa anche dal quotidiano britannico ‘The Independent’, nella quale si denunciava la situazione di sfruttamento che subiscono quotidianamente centinaia di lavoratori immigrati, utilizzati, senza diritti e senza tutele nella raccolta delle arance e delle famosissime clementine”.
“La qualità delle arance prodotte a Rosarno ed in tutta la Piana di Gioia Tauro – prosegue Nucera – va esaltata, sostenuta ed accompagnata. Da tempo sostengo, attraverso atti e provvedimenti di carattere politico-istituzionale, la necessità – spiega Nucera – di superare quella che ho sempre definito una ingiustizia non solo economica, ma anche e soprattutto sociale per la Calabria ”.
“In una mozione, approvata all’unanimità dal Consiglio regionale lo scorso mese di agosto ho posto con forza la sollecitazione al Governo nazionale per la “Modifica all’art. 1 della legge 286 del 1961, in materia di contenuto di succo di agrumi nelle bevande analcoliche”.
La mozione auspica l’innalzamento dal 12 al 16/18% della quantità di succo di agrumi contenuta nelle bevande analcoliche, unitamente all’istituzione di un logo nazionale per le bibite analcoliche a base di frutta prodotte con l’uso esclusivo di frutta di origine o di provenienza italiana. E’ l’unica strada possibile– spiega Nucera – per dare soluzione alla crisi agrumicola, ma anche sociale che sta caratterizzando, in particolar modo, la Piana di Rosarno e le sue estese coltivazioni di agrumi”.
“L’aumento di richiesta del prodotto, anche semilavorato, destinato all’industria di succhi e bevande, in gran parte collegate alle grandi multinazionali mondiali, darebbe un grosso respiro di sollievo ai produttori, che avrebbero maggiore potere contrattuale sul mercato e la possibilità di vendere la loro intera produzione stagionale. I maggiori guadagni riguarderebbero anche i lavoratori, immigrati e non, utilizzati nella raccolta ai quali potrebbero essere riconosciuti maggiori salari e migliori condizioni di lavoro”.
“Nella mozione approvata dal Consiglio regionale – prosegue Nucera – c’era un ragionamento che rendeva evidente la necessità di rivedere la legge nazionale del 1961. In quella sede affermai la necessità di una attenta analisi di mercato perché il prezzo pagato per un kg di succo concentrato di arance calabresi risulta essere di soli 1,60 €, da cui si estraggono circa sei litri di succo naturale di arancia, con i quali le industrie di bevande riescono a produrre oltre 50 litri di bevande al gusto di arancia, contenenti, come peraltro previsto dalla legge, appena il 12% di succo naturale. E’ assurdo – infatti - che un litro di aranciata contenga oggi il valore di soli 3 centesimi di euro, in termini di succo di agrume. Mentre le industrie di spremitura corrispondono ai produttori agricoli il prezzo di 0,08 centesimi di €, cioè una quantità infinitesimale rispetto al rapporto che si potrebbe avere con le nostre arance. E la mano d’opera, rimarcai allora – ricorda Nucera – grava per 0,06 centesimi di € per ogni kg di prodotto. E’ facile capire come ai nostri produttori restasse ben poco, appena 0,02 centesimi di euro di guadagno. Margine che rende spesso poco o per nulla conveniente la stessa raccolta del prodotto. Era questa la motivazione fondamentale di quella mozione: impedire – ha concluso Nucera - che le nostre arance rimanessero sugli alberi e che molti lavoratori restassero inattivi. Un danno sociale oltre che economico che viene ancora riservato ad una categoria che da sola contribuisce a fornire quasi il 70% del prodotto interno lordo calabrese”.
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