Antonino Scopelliti, il giudice solo, muore
il 9 agosto del 1991 per un accordo tra mafie: Cosa Nostra chiede il permesso alla
'ndrangheta di uccidere il magistrato del maxi processo in terra calabra, a
Campo Calabro, nel suo paese, dove lui si muove senza scorta, sicuro di non
essere tradito. La sua morte è servita per ottenere la pace tra cosche dopo una
lunga faida iniziata nel 1985 in seguito all'uccisione del boss De
Stefano. 21 anni sono passati e la
domanda non può che sorgere spontanea: cos’è cambiato da allora? Qualcuno dirà:
premi letterari, commemorazioni, eventi che mantengono memoria storica di un
Figlio di questa terra che in questa terra è tornato, che in questa terra è
morto. Ma la domanda è: cos’è cambiato? e non che cosa si è fatto? Il “fare”
spesso non coincide con il “raccogliere” risultati aspettati. La Calabria non
riesce a svegliarsi dal torpore della reticenza e applaude alle celebrazioni
nelle prime file come se non si stesse parlando di lei, come se l’argomento le
fosse estraneo. Se qualcosa si è mosso lo dobbiamo spesso ai figli e alle
figlie della ndrangheta stessa che hanno deciso di sottrarsi al giogo mafioso.
Un paradosso antropologico: questa terra è stata sempre assoggettata a poteri
palesemente forti e violenti, liberata per poi essere nuovamente sotto assedio.
Oggi sarebbe il momento di darci una bella scossa, quanto basta per fare delle
considerazioni di natura politica, ma non solo.
Una morte non può mai essere utile per una
pace, perché diviene una pace sporca di sangue, che ha sete di giustizia e
verità. Nel ‘91 avevo 13 anni ma ricordo benissimo il giorno dell'omicidio. Non
lo dimenticherò mai. A distanza di anni io stessa sento di non aver mai fatto
abbastanza per fare tesoro della testimonianza del Giudice Scopelliti. Tra i
più giovani si percepisce voglia di riscatto, anche se troppo debole e fioca. Alcuni
campesi oggi ricordano Antonino Scopelliti con piccoli e spontanei pensieri
personali senza lesinare una sana indignazione su come è stato “mal ricordato”.
Campo Calabro, luogo natio del Giudice solo, doveva essere il paese della lotta
alla ‘ndrangheta, come Cinisi per la Sicilia. Doveva incarnare il pensiero di
legalità, giustizia trasparenza e voglia di riscatto sociale. E oggi doveva
accogliere gente da ogni parte d’Italia, doveva aprirsi a pensieri e nutrirsi
di energie vitali per poter gridare in primis il suo No alla ndrangheta e ribadire
la voglia di rivincita. Oggi, a Piale di Villa San Giovanni, borgo a soli due
chilometri dal paese del Giudice, per ricordare la lotta alla mafia, ci sarà
uno spettacolo dei pupi siciliani sulla storia di Falcone e Borsellino. E
invece A Campo Calabro, in commemorazione di Antonino Scopelliti, stasera si
ballerà la tarantella. Questi gli eventi culturali, ma venendo a quelli
istituzionali, paradossalmente, anche quest'anno, i campesi si ritroveranno ad
assistere a doppie commemorazioni, in virtù di non si sa quale criterio di
proprietà di una memoria che dovrebbe essere di tutti. Il Giudice, oggi, è più
solo che mai.
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