TONFO DEI MUTUI UNDER 35, MENO CASE PER I GIOVANI
15 luglio 2012
Durante la crisi, ”nel periodo 2008-2011 il numero di mutui concessi dalle banche per l’acquisto di abitazioni e’ diminuito di oltre il 20% rispetto al quadriennio 2004-2007”. A fare i conti sono tre economisti della Banca d’Italia (Roberto Felici, Elisabetta Manzoli e Raffaella Pico), nello studio ‘La crisi e le famiglie italiane’.
La frenata dei prestiti per l’acquisto dell’abitazione ha interessato soprattutto i giovani. ”Nel quadriennio 2008-2011 il numero totale di contratti stipulati dagli individui con meno di 35 anni e’ diminuito di oltre il 30% rispetto al quadriennio 2004-2007”.
La crisi ha quindi congelato i prestiti per l’acquisto dell’abitazione: “Dal 2008 al 2011 il numero dei nuovi mutui concessi si è ridotto mediamente del 9,1% ogni anno, a fronte di un aumento medio dell’8,5% nei tre anni precedenti”. Nel dettaglio la ricerca, che utilizza le informazioni relative a circa 2 milioni di contratti di mutuo per l’acquisto della casa, rileva che nel periodo 2008-2011 il numero dei mutui di importo superiore ai 75 mila euro concessi alle famiglie consumatrici dalle banche partecipanti alla Rilevazione analitica dei tassi d’interesse “é risultato sistematicamente più basso rispetto al quadriennio precedente”. Dal 2004 al 2007 il numero medio annuo di contratti stipulati è infatti “stato pari a circa 266.000; nel periodo successivo è diminuito del 22%, a 208.000″.
E sottolinea lo studio “anche l’importo complessivo delle nuove erogazioni ha avuto un andamento analogo, sebbene abbia registrato un ritmo di crescita più elevato negli anni di espansione, grazie anche all’andamento crescente delle quotazioni immobiliari”. Andando alle spiegazioni, nell’indagine si legge che “il calo è stato determinato sia da fattori di domanda sia di offerta. I primi sono legati soprattutto alla debolezza del mercato immobiliare e alla fase negativa del ciclo economico, caratterizzata dall’aumento del tasso di disoccupazione e dalla riduzione dei redditi delle famiglie”. Allo stesso tempo, viene evidenziato, “le condizioni di offerta da parte degli intermediari hanno registrato un irrigidimento, connesso al peggioramento delle condizioni di accesso alle fonti di finanziamento e all’inasprimento dei vincoli di bilancio, oltre che al deterioramento della qualità dei prestiti”. Lo studio inoltre sottolinea che “l’irrigidimento dell’offerta ha inciso in misura minore sui mutuatari con redditi elevati, come emerge dall’andamento delle erogazioni di mutui di ammontare elevato, di importo superiore a 150 mila euro, aumentati del 2%”.
La quota di mutui che fa capo alla classe di debito under 35 si è ridotta di 5,3 punti percentuali, scendendo al 36,4%, mentre l’età media dei mutuatari è aumentata di un anno, da 37,8 a 38,8 anni, fa sapere l’occasional paper della Banca d’Italia intitolato ‘La crisi e le famiglie italiane: un’analisi microeconomica dei contratti di mutuò, condotto da tre economisti di Via Nazionale (Roberto Felici, Elisabetta Manzoli e Raffaella Pico). Insomma, spiega la ricerca, guardando all’età “il calo delle erogazioni ha interessato soprattutto i mutuatari più giovani”, che “hanno risentito in misura maggiore del peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro e dell’adozione di politiche di affidamento più selettive da parte delle banche nei confronti della clientela caratterizzata da una più elevata rischiosità”. A riguardo i risultati dell’indagine mostrano che “l’incidenza delle sofferenze sui mutui erogati dal 2004 al 2007 a mutuatari con meno di 35 anni alla fine del periodo era pari allo 0,54%, a fronte di una media dello 0,49; per i mutui concessi tra il 2008 e il 2011, essa è aumentata allo 0,87% (0,71% in media)”.
D’altra parte pure “la crescita dell’importo dei mutui a loro concessi è stata assai più contenuta rispetto alla media”. La riduzione dei prestiti erogati ai giovani risulta particolarmente marcata, precisa lo studio, anche perché ha seguito una fase espansiva: “Il contributo alla crescita complessiva del numero dei mutui concessi tra il 2004 e il 2007 da parte della clientela con meno di 44 anni di età era stato di circa tre quarti”. Quindi a partire dal 2008 la tendenza si é praticamente invertita. Un’altra categoria particolarmente colpita è rappresentata da mutuatari originari di Paesi non appartenenti all’Unione Europea. Nel periodo 2004-2007 i clienti originari di Paesi extracomunitari, è scritto nella ricerca, “rappresentavano l’8,2% del totale dei mutui erogati; negli anni 2008-2011 la quota è scesa al 4,5%”, nonostante un progressivo aumento della fetta di popolazione extracomunitaria sul totale dei residenti in Italia. Il calo ha riguardato soprattutto i mutui erogati a clienti provenienti dal Nord Africa.
Fonte: ansa.it
«RIFIUTI PERICOLOSI TRASFORMATI IN PANNOLINI»
14 luglio 2012
Rifiuti speciali diventati biberon per i nostri piccoli. Mentre i roghi tossici bruciano e per fermarli, a questo punto, dovrebbe prendere in mano la situazione direttamente il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica. Ha idee chiare Donato Ceglie, sostituto Procuratore a Napoli con una più che ventennale esperienza d’indagini e grandi inchieste contro i crimini ambientali.
Biberon, pannolini e siringhe? Possibile?
È il peggio, che è stato scoperto andando a sequestrare container nei porti di Napoli e Bari: da qui i rifiuti esportati illegalmente puntano a est. In Cina diventano materia prima secondaria, vengono trasformati e ci tornano indietro come prodotti per l’igiene e per la parafarmaceutica: biberon, pannolini e siringhe. Abbiamo le prove.
Questo nuovo, terrificante business dei rifiuti sarebbe quindi verso la Grande Muraglia?
Esattamente.
Si capisce, dottor Ceglie, che le criminalità organizzate si dedichino quasi più a questo traffico che ad altri.
È il business più redditizio e meno rischioso. Indagini e atti giudiziari raccontano come ormai le rotte mondiali del traffico illecito di rifiuti pericolosi vadano in tutte le direzioni.
Veniamo alla terra dei fuochi. Come vi si può intervenire, ma in fretta e con efficacia?
Non si sta facendo niente, punto. Manca un coordinamento. Secondo me bisognerebbe attivare immediatamente il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica solo sulla questione dei roghi tossici. E procedere agli arresti.
Qual è il quadro complessivo e attuale della zona?
Le province di Napoli e Caserta si trovano in una situazione estremamente critica, che di anno in anno peggiora. Però le ecomafie hanno un po’ cambiato faccia.
Sarebbe a dire?
Prima era interesse particolare della camorra, che intercettava i grossi produttori di rifiuti tossici e industriali del centro-nord, faceva loro diventare conveniente affidarglieli e li interrava; che gestiva il ciclo illecito del cemento e delle cave abusive. Adesso, con questi meccanismi di combustione illecita, il camorrista appalta e subappalta le attività criminali al rom, all’albanese, all’africano o a chi ha bisogno dei soldi per mangiare.
Intanto, appunto nella terra dei fuochi, amianto, pneumatici e rifiuti di ogni genere bruciano a più non posso.
È diventato insostenibile assistere a centinaia di roghi. Le conseguenze per la salute dei cittadini e per l’ecosistema sono devastanti. Allora, chi deve fare cosa, e che sta facendo? Quanto si fa in termini di repressione e prevenzione? Bastano le risposte – se ci sono, e sottolineo se ci sono – della magistratura e delle forze dell’ordine?
Belle domande. Quindi?
Ci vuole un fronte comune e serrato: forze dell’ordine, magistratura, istituzioni, scuola, università, prefettura.
Non c’è questo fronte?
No, nel modo più assoluto. Perché, ad esempio, non ci si rende conto della gravità del problema e della situazione.
Vengono anche in mente certi nomi di sindaci o assessori…
Non dimentichiamo che tra Napoli e Caserta abbiamo il record di comuni sciolti per camorra.
A proposito di salute dei cittadini: qualche medico minimizza.
Le indagini epidemiologiche serie e ufficiali ci dicono da tempo che abbiamo un’impennata anomala di malattie tumorali, non a caso nei triangoli dello smaltimento illecito dei rifiuti e come loro diretta conseguenza: qui si bruciano tonnellate e tonnellate di rifiuti che sprigionano diossina…
Dottor Ceglie, che i camorristi continuino ad avvelenare il terreno stesso sul quale vivono e camminano sembra allucinante.
Sono belve. Sono completamente ottusi e la gran parte di loro fa uso di stupefacenti. Gestiscono i traffici illeciti di rifiuti perché lo ritengono un interesse. Belve estremamente pericolose, che pur di fare business avvelenano se stessi e avvelenano gli altri. Assassini di persone e di un territorio.
Prescrizione in quattro anni, pene quasi solo contravvenzionali e così via: non è che la mano del legislatore sia decisamente stata morbida contro i reati ambientali?
Abbiamo un unico delitto, il traffico illecito di rifiuti, che prevede la reclusione fino a un massimo di sei anni. Ma è difficile dimostrare la stabile organizzazione con elementi probatori che poi tengano al riesame e in Cassazione. Qui bisognerebbe invece arrestare sempre chiunque proceda alla combustione o all’interramento. E comunque non sarebbe il Codice penale la soluzione al problema.
Pino Ciociola
fonte: avvenire.it
fonte: avvenire.it
UIL: «LA POLITICA COSTA 772 EURO A CONTRIBUENTE»
14 luglio 2012
I costi della politica ammontano a circa 23,9 miliardi di euro l’anno: una somma che equivale all’11,5% del gettito Irpef (comprese le addizionali locali), pari a 772 euro medi annui per contribuente, e che pesa per l’1,5% sul Pil. È il dato che emerge da un Rapporto Uil in cui si denuncia come i segnali di risparmio di spesa sui cosiddetti ‘costi della politicà siano “ancora molto timidi”.
Per il funzionamento degli organi istituzionali, rileva il sindacato, si spendono 6,4 miliardi di euro; per le consulenze e il funzionamento degli organi delle società partecipate 4,6 miliardi; per altre spese (auto blu, personale di ‘fiducia politicò, ecc.) 5,8 miliardi; per il sovrabbondante sistema istituzionale 7,1 miliardi.
Secondo la Uil i risparmi, se si intervenisse sui costi della politica, ammonterebbero a circa 10,4 miliardi l’anno. In base alle stime del sindacato sono oltre 1,1 milioni le persone che vivono, direttamente o indirettamente, di politica: il 4,9% del totale degli occupati nel nostro Paese.
Un esercito composto da quasi 144 mila persone: di cui 1.067 parlamentari nazionali ed europei, ministri e sottosegretari; 1.356 presidenti, assessori e consiglieri regionali; 3.853 presidenti, assessori e consiglieri provinciali; 137.660 sindaci, assessori e consiglieri comunali. A questi si aggiungono oltre 24 mila consiglieri di amministrazione delle società pubbliche; oltre 44 mila persone negli organi di controllo; 38 mila di supporto degli uffici politici (gabinetti, segreterie ecc.); 390 mila di apparato politico; 456 mila consulenti. Per il funzionamento degli organi dello Stato centrale (Presidenza della Repubblica,
Camera dei Deputati, Senato della Repubblica e Corte Costituzionale, Presidenza del Consiglio, Indirizzo politico dei Ministeri) secondo il Bilancio preventivo dello Stato per il 2012, quest’anno, i costi saranno di oltre 3,1 miliardi di euro (101 euro medi per contribuente), in diminuzione del 2,8% rispetto al 2011.
Per gli organi di Regioni, Province e Comuni (funzionamento Giunte e Consigli) i costi ammontano a 3,3 miliardi di euro (108 euro medi per contribuente).
Fonte. Avvenire.it
ADDIO ALLA SPIAGGIA LIBERA, ECCO I PADRONI DEL MARE
14 luglio 2012
SONO un bene comune, ma costituiscono un affare privato. Anche se appartengono giuridicamente allo Stato, e quindi a tutti i cittadini, le spiagge italiane vengono sfruttate – sul piano ambientale ed economico – da 30 mila aziende titolari delle concessioni demaniali con un esercito di 600 mila operatori, compresi quelli dell’indotto.
Dal 2001 a oggi, gli stabilimenti sono più che raddoppiati, passando da 5.368 a circa 12 mila, fino a occupare 900 chilometri di costa: un quarto di quella adatta alla balneazione, su un totale di ottomila chilometri. In pratica, uno ogni 350 metri, per un’estensione complessiva che arriva a 18 milioni di metri quadrati. A fronte di oneri concessori nell’ordine dei 130 milioni di euro all’anno a favore dell’erario, il fatturato di questa “industria delle spiagge” varia dai 2,5 miliardi dichiarati dai gestori (i contribuenti italiani più “poveri”, con una media di 13.600 euro a testa) ad almeno uno di più stimato dalla Guardia di Finanza, per raggiungere i 6-8 ipotizzati da alcuni esponenti ambientalisti.
È contro lo sfruttamento intensivo di questo patrimonio pubblico che il Wwf diffonderà oggi un nuovo dossier, presso la Riserva naturale delle Cesine, in Puglia, sulla costa salentina. Contemporaneamente, inizieranno i lavori di bonifica e rimozione dei rifiuti stratificati da anni lungo l’arenile, al confine dell’area. In poche settimane, la spiaggia tornerà così al suo originario splendore. “Questa è una giornata importante che ci permette di ringraziare tutti gli italiani, gli amici e i partner che hanno contribuito alla campagna “Un mare di Oasi per te”, presentando il risultato concreto della loro partecipazione”, dice Gaetano Benedetto, direttore delle Politiche ambientali dell’associazione. E ora il Wwf chiede di condividere con la Regione e gli altri enti locali un progetto di manutenzione costante, per garantire la bellezza e la vivibilità della spiaggia.
Un fenomeno particolarmente allarmante riguarda la progressiva scomparsa delle dune di sabbia, “costruite” nel tempo dall’azione del vento e invase ormai dalle file di ombrelloni e sedie a sdraio, dai chioschi, dai campetti di calcio o beach-volley. Nell’ultimo mezzo secolo, si sono ridotte da una lunghezza complessiva di 1.200 chilometri a circa 700. Ma quelle ancora “attive”, in grado cioè di svolgere la loro funzione naturale di barriera protettiva, coprono appena 140 chilometri.
In un periplo ideale della Penisola, il Wwf presenta un check-up generale delle spiagge nelle quindici regioni costiere italiane. L’associazione ambientalista ha accertato così che nella maggior parte dei casi non è stata stabilita neppure una percentuale minima di arenile da riservare alla libera balneazione. Anche la “fascia protetta” di cinque metri dalla battigia molto spesso è più affollata di una strada dello shopping e diventa quindi impraticabile.
La Regione più virtuosa risulta la Puglia, con una quota di spiagge libere pari al 60 per cento del litorale, comprese però le foci dei fiumi e le infrastrutture, come i porti. Altrove, si aggira intorno al 20-25 per cento. Ma in genere la competenza viene delegata ai Comuni e ognuno si regola come crede. Qui manca il Piano paesaggistico regionale, lì non esistono norme né programmi specifici per la tutela delle coste. In questo bailamme, c’è perfino chi propone in Parlamento di estendere le concessioni demaniali da 20 anni a 50, con il rischio di favorire così la trasformazione di strutture stagionali in impianti fissi o addirittura in edifici, stimolando un’ulteriore cementificazione del litorale. Eppure, dal 2006 una direttiva comunitaria sulla circolazione dei servizi – che prende nome dal politico ed economista olandese Frederik Bolkestein – impone la modifica di questi contratti con lo Stato, in base alle regole della concorrenza. Evidentemente, una spiaggia assegnata in concessione a un privato per mezzo secolo non sarà mai più pubblica né tantomeno libera.
Dal 2001 a oggi, gli stabilimenti sono più che raddoppiati, passando da 5.368 a circa 12 mila, fino a occupare 900 chilometri di costa: un quarto di quella adatta alla balneazione, su un totale di ottomila chilometri. In pratica, uno ogni 350 metri, per un’estensione complessiva che arriva a 18 milioni di metri quadrati. A fronte di oneri concessori nell’ordine dei 130 milioni di euro all’anno a favore dell’erario, il fatturato di questa “industria delle spiagge” varia dai 2,5 miliardi dichiarati dai gestori (i contribuenti italiani più “poveri”, con una media di 13.600 euro a testa) ad almeno uno di più stimato dalla Guardia di Finanza, per raggiungere i 6-8 ipotizzati da alcuni esponenti ambientalisti.
È contro lo sfruttamento intensivo di questo patrimonio pubblico che il Wwf diffonderà oggi un nuovo dossier, presso la Riserva naturale delle Cesine, in Puglia, sulla costa salentina. Contemporaneamente, inizieranno i lavori di bonifica e rimozione dei rifiuti stratificati da anni lungo l’arenile, al confine dell’area. In poche settimane, la spiaggia tornerà così al suo originario splendore. “Questa è una giornata importante che ci permette di ringraziare tutti gli italiani, gli amici e i partner che hanno contribuito alla campagna “Un mare di Oasi per te”, presentando il risultato concreto della loro partecipazione”, dice Gaetano Benedetto, direttore delle Politiche ambientali dell’associazione. E ora il Wwf chiede di condividere con la Regione e gli altri enti locali un progetto di manutenzione costante, per garantire la bellezza e la vivibilità della spiaggia.
Un fenomeno particolarmente allarmante riguarda la progressiva scomparsa delle dune di sabbia, “costruite” nel tempo dall’azione del vento e invase ormai dalle file di ombrelloni e sedie a sdraio, dai chioschi, dai campetti di calcio o beach-volley. Nell’ultimo mezzo secolo, si sono ridotte da una lunghezza complessiva di 1.200 chilometri a circa 700. Ma quelle ancora “attive”, in grado cioè di svolgere la loro funzione naturale di barriera protettiva, coprono appena 140 chilometri.
In un periplo ideale della Penisola, il Wwf presenta un check-up generale delle spiagge nelle quindici regioni costiere italiane. L’associazione ambientalista ha accertato così che nella maggior parte dei casi non è stata stabilita neppure una percentuale minima di arenile da riservare alla libera balneazione. Anche la “fascia protetta” di cinque metri dalla battigia molto spesso è più affollata di una strada dello shopping e diventa quindi impraticabile.
La Regione più virtuosa risulta la Puglia, con una quota di spiagge libere pari al 60 per cento del litorale, comprese però le foci dei fiumi e le infrastrutture, come i porti. Altrove, si aggira intorno al 20-25 per cento. Ma in genere la competenza viene delegata ai Comuni e ognuno si regola come crede. Qui manca il Piano paesaggistico regionale, lì non esistono norme né programmi specifici per la tutela delle coste. In questo bailamme, c’è perfino chi propone in Parlamento di estendere le concessioni demaniali da 20 anni a 50, con il rischio di favorire così la trasformazione di strutture stagionali in impianti fissi o addirittura in edifici, stimolando un’ulteriore cementificazione del litorale. Eppure, dal 2006 una direttiva comunitaria sulla circolazione dei servizi – che prende nome dal politico ed economista olandese Frederik Bolkestein – impone la modifica di questi contratti con lo Stato, in base alle regole della concorrenza. Evidentemente, una spiaggia assegnata in concessione a un privato per mezzo secolo non sarà mai più pubblica né tantomeno libera.
Di Giovanni Valentini
fonte: la repubblica.it
fonte: la repubblica.it
“IN ITALIA MULTE TROPPO SALATE”
12 luglio 2012
Colpo di scena. Dopo il rincaro, da record, sulle multe, ora la commissione trasporti della Camera è al lavoro per alleggerire la pressione sugli automobilisti. L’annuncio è arrivato dallo stesso presidente della commissione, Mario Valducci, che oggi al convegno sulla sicurezza stradale organizzato dal Centro Diss di Parma, ha parlato di “sanzioni in molti casi eccessive” ed ha ammesso che “si sta lavorando per una riduzione degli importi. Insomma una vera rivoluzione perché una cosa del genere in tanti anni non si era mai vista: le multe, nella storia della mobilità, sono sempre (e solo aumentate).
“Presto ancora parlare di tempi e di metodo di realizzazione”, come spiega lo stesso Valducci, perché – si sa – per ora ci sono altre priorità (fra tutte l’approvazione dell’introduzione del reato di Omicidio Stradale, ma anche l’inserimento dei motociclisti fra le categorie degli utenti deboli visto l’enorme aumento di morti e feriti) ma la strada è segnata. Si sa che gli “sconti” saranno applicati a chi pagherà subito con il bancomat ma tutte le modalità sono ancora da mettere a punto. Anche perché probabilmente tutto sarà legato all’effettiva diminuzione di incidenti stradali come vuole la UE.
Ma perché tanta attenzione – improvvisa – per le tasche degli automobilisti? “Siamo arrivati al limite della decenza sulle sanzioni – ha spiegato Silvia Velo, vicepresidente della commissione trasporti della Camera – di più non si può proprio fare. Anche perché poi ci siamo resi conto il messaggio ‘violazione uguale forte sanzione’ è passato. E che quindi è inutile continuare ad infierire sugli automobilisti”.
Per esempio percorrere la corsia di emergenza sono 398 euro, dieci punti della patente (20 per il neopatentato) e sospensione della patente da due a tre mesi, per un divieto di sosta si può arrivare a 318 euro. Sono solo due esempi, che la dicono lunga sul caro-multe…
di VINCENZO BORGOMEO
fonte: repubblica.it
fonte: repubblica.it
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