Nel pomeriggio
del 31 luglio 2012, i Carabinieri hanno arrestato in Calabria il latitante AQUINO
Giuseppe, elemento di spicco dell’omonima cosca, mentre si trovava nascosto
all’interno di un bunker sotterraneo di piccole dimensioni, ricavato nel
pavimento dell’abitazione della madre, a Marina di Gioiosa Jonica. L’accesso al
nascondiglio, perfettamente camuffato, era possibile facendo traslare su rotaie
due gradini in marmo di una scala interna, attraverso un sofisticato congegno
elettromeccanico.
AQUINO
Giuseppe, detto “Peppe o pacciu”, era ricercato per associazione mafiosa a
seguito di un provvedimento restrittivo che lo aveva raggiunto al termine della
prima fase della maxi operazione “Il Crimine”, conclusa nel mese di luglio 2010
e coordinata dalle Procure Distrettuali di Reggio Calabria e Milano. L’attività
investigativa che aveva portato all’arresto di circa 300 indagati per
associazione mafiosa ed altro, aveva tra l’altro delineato la figura del
predetto latitante all’interno del “locale” di ndrangheta di Marina di Gioiosa
Jonica.
Giudicato
con il rito abbreviato in data 08.03.2012, AQUINO Giuseppe è stato condannato
dal GUP di Reggio Calabria alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione (Il
Pubblico Ministero ne aveva chiesto la condanna a 16 anni di reclusione).
Tra il 2010 ed il
2011, l’Arma, sotto il coordinamento della Procura Distrettuale di Reggio
Calabria, aveva individuato e sequestrato bunker risultati nella disponibilità
del latitante, presso la propria abitazione ovvero di soggetti individuati
quali fiancheggiatori. In particolare:
(1) in data 11.10.2010, nel corso di perquisizioni domiciliari presso le abitazioni
dei latitanti AQUINO Domenico, AQUINO Giuseppe e AQUINO Rocco siti in Marina di
Gioiosa Jonica strada Porticato, venivano rinvenuti n. 2 bunker, di cui il
primo presso l’abitazione di AQUINO Giuseppe di piccole dimensioni, con
chiusura azionata da un congegno meccanico scorrevole tramite un telecomando
che emetteva segnali ad un lampione in ferro presente all’interno della villa
posta nelle vicinanze del cancello d’entrata;
il secondo presso l’abitazione del fratello Domenico, nel garage
seminterrato dell'abitazione, avente notevoli dimensioni, addirittura metri
6,50 x 2,50 circa, il cui accesso era celato da una parete mobile azionata da
un congegno meccanico scorrevole su binari;
(2) in data 29.06.2011,
nel garage dell’abitazione del latitante Giuseppe AQUINO veniva rinvenuto un
BUNKER delle dimensioni di mt. 1,60x 1,70 x 2,00, accessibile attraverso una
botola a scorrimento manuale della larghezza di mt.0,90.-
La perquisizione veniva estesa anche all’abitazione di TASSONE
Rocco nato a Gioiosa Jonica il 13.04.1953, residente a Marina Gioiosa Jonica
Strada Pantalogna n.50, presunto fiancheggiatore del latitante, ove veniva scovato
un altro bunker delle dimensioni di metri 1,10 x 1,15 e 2,50, accessibile per
il tramite di una botola dell’ampiezza di metri 0,90, con possibilità di
apertura sia tramite scorrimento manuale, sia elettricamente. All’interno di
quest’ultimo rifugio venivano rinvenuti kg. 8,8 di sostanza stupefacente da taglio per la droga del tipo prometazone e
grammi 200 di dorozen;
(3)
In data 11.10.2011, presso l’abitazione del latitante, in
particolare nel vano seminterrato, veniva scoperto un bunker accessibile tramite
un’apertura di cm 70x70, profondo mt. 3 circa, che conduceva ad un vano di
metri 3x3 ed un’altezza di metri 2,50, sottoposto a sequestro unitamente a n.42
banconote da euro 50,00.
Nel febbraio
scorso i Carabinieri avevano tratto in arresto il fratello AQUINO Rocco
cl.1960, già inserito nell’elenco dei latitanti pericolosi stilato dal
Ministero dell’Interno, esponente apicale della “Provincia” e di vertice del “locale”
di Marina di Gioiosa Jonica.
L’odierno intervento,
eseguito dai Carabinieri del ROS, del Comando Provinciale Carabinieri di Reggio
Calabria e dello Squadrone Eliportato Cacciatori di “Calabria”, costituisce un
risultato di eccezionale rilevanza nell’ambito di un’ampia manovra
investigativa sviluppata dai Carabinieri e coordinata dalla Procura
Distrettuale di Reggio Calabria nei confronti delle cosche della ‘ndrangheta
che ha determinato, a partire dal 2004, la cattura di numerosi capi clan del
calibro di Giuseppe MORABITO, Pasquale CONDELLO, Gregorio e Giuseppe BELLOCCO,
Giuseppe e Salvatore COLUCCIO, Antonio PELLE, Girolamo MOLÈ, Sebastiano PELLE,
Santo GLIGORA, Saverio TRIMBOLI, Francesco PERRE e Francesco PESCE, AQUINO
Rocco e da ultimo TRIMBOLI Rocco che, dalla latitanza, continuavano a dirigere
i sodalizi di riferimento.
AQUINO Giuseppe (20.02.1962),
figlio di Vincenzo e fratello di Rocco (cl. 60), compare per la prima volta
nelle cronache giudiziarie il 28 gennaio 1980, quando il Tribunale per i
Minorenni di Reggio Calabria, in ordine al reato di detenzione abusiva di
cartucce caricate a pallettoni, dichiarava non doversi procedere nei suoi
confronti per concessione del perdono
giudiziale.
Il 04.12.1997 era colpito da ordinanza di
custodia cautelare emessa dal GIP presso il Tribunale di Reggio Calabria per
usura e riciclaggio, a seguito del quale si rendeva irreperibile; in relazione
a tale vicenda, in data 13.07.1998 il GIP ne disponeva il rinvio a giudizio
davanti al Tribunale di Locri (RC).
Tra la fine
degli anni ’80 ed i primi anni ’90, era risultato coinvolto nell’operazione
“Zagara” coordinata dall’A.G. di Reggio Calabria, che ne accertava il ruolo
all’interno della famiglia AQUINO, anche per il controllo del narcotraffico[1]. Le indagini inoltre
avevano documentato i consolidati rapporti tra gli Ursino-Macrì di Gioiosa
Jonica, gli AQUINO-Coluccio–Scali di Marina di Gioiosa Jonica ed i Commisso di
Siderno. Significative, a riguardo, le dichiarazioni all’epoca rese dal noto
collaboratore Ierinò Vittorio, in base alle quali le famiglie egemoni a Gioiosa
Marina risultavano proprio essere quelle dei Mazzaferro e degli AQUINO, questi
ultimi in conflitto con i primi[2] ed in strettissimi
rapporti di affari con i Coluccio nonché i Commisso e gli Scarfò di Siderno, a
favore dei quali si erano schierati nella sanguinosa guerra contro i Costa, poi
decimati.
All’interno
della famiglia AQUINO risultavano peraltro inseriti noti brokers internazionali
del traffico di cocaina dal Sud America, come gli Scali (Antonio, Natale e
Vincenzo) ed i Lucà (Francesco, Nicola e Giuseppe), alcuni dei quali al centro
dell’indagine “Decollo” del ROS che nel gennaio 2004, aveva consentito
l’esecuzione di complessivi 154 provvedimenti restrittivi con il sequestro di
oltre 5000 kg
di cocaina e la documentata importazione di altri 7800 kg . Le indagini
avevano anche documentato l’evoluzione criminale della famiglia AQUINO, dedita
negli anni '70 soprattutto alla commissione di truffe e fallimenti fraudolenti
e, in una seconda fase, pienamente attiva nel narcotraffico internazionale con
collegamenti funzionali in Canada e negli U.S.A. oltre che nel riciclaggio dei
relativi proventi, per lo più reinvestiti nel settore immobiliare.
Come
anticipato, AQUINO Giuseppe era stato infine colpito da un ulteriore
provvedimento di fermo per il quale era ricercato, emesso dalla Procura Distrettuale
Antimafia di Reggio Calabria, nell’ambito dell’operazione “Il Crimine”.
L’operazione, nel cui ambito le Autorità Giudiziarie di Milano e Reggio
Calabria hanno raccordato e coordinato numerosi procedimenti penali collegati
fornendo un quadro complessivo ed unitario degli assetti organizzativi della
‘ndrangheta, delle sue articolazioni extraregionali e dei comuni interessi
illeciti, ha accertato come la matrice criminale, dopo un lento processo
evolutivo, già delineato da alcuni collaboratori di giustizia nei primi anni
’90, abbia raggiunto una nuova configurazione organizzativa, in grado di
coordinare le iniziative criminali delle singole articolazioni, soprattutto nei
settori dell’infiltrazione negli appalti pubblici e del traffico internazionale
di stupefacenti[3].
Le citate
indagini hanno infatti tecnicamente documentato come le cosche della provincia
di Reggio Calabria rimangano il centro propulsore delle iniziative dell’intera
‘ndrangheta, nonché il principale punto di riferimento di tutte le articolazioni
extraregionali, nazionali ed estere. A tal fine è stato creato un organismo
assolutamente inedito, denominato “Provincia”, riferimento dei responsabili di tre
“mandamenti” in cui sono stati ripartiti i “locali” del capoluogo e delle aree
tirrenica e ionica. Un ordine gerarchico all’interno di tale organismo che,
tuttavia, garantisce ai singoli sodalizi ampi margini di autonomia, risulta
assicurato dai tradizionali gradi (“sgarro”, “santa”, “vangelo”) e ruoli
(capocrimine, mastro di giornata e contabile) nei diversi livelli
dell’organizzazione. L’attività investigativa ha documentato come tale modello
organizzativo sia stato esteso anche alle proiezioni nel nord Italia
(Lombardia, Liguria e Piemonte) e all’estero (in Svizzera e Germania[4]), con la costituzione
di “locali” e, laddove maggiore è risultata la loro concentrazione, di
organismi assimilabili ai “mandamenti”, come in Lombardia e Liguria. Tali
articolazioni, seppur dotate di libertà decisionale relativamente alle
attività locali, rimangono comunque dipendenti dalla ‘ndrangheta della
provincia di Reggio Calabria. Proprio nel corso delle indagini in parola, sono
state documentate numerose riunioni tra i maggiori esponenti delle cosche del
mandamento ionico, per la risoluzione di problematiche interne, tra cui quella
relativa all’omicidio di Novella Carmelo. Sono così emerse ulteriori conferme
circa l’operatività degli organismi denominati “provincia” e “mandamento” e la
rispettiva influenza nella determinazione degli assetti dei sodalizi dipendenti,
tra cui quello di Gioiosa Ionica, all’interno del quale veniva ricomposta una
scissione, con la nomina a capo società di AQUINO Rocco, fratello di AQUINO
Giuseppe, in sostituzione di AQUINO Nicola Rocco. Inoltre è stato possibile
individuare gli interessi economici della cosca nella gestione, anche
attraverso prestanome, di alberghi, esercizi pubblici, imprese edili ed
immobili. Alcuni di essi, per un valore di 10 milioni di euro[5], venivano sottoposti
ad un provvedimento di sequestro preventivo.
[1]CAPO “I”: “del delitto p.e p. dall'art. 416 bis, commi
1, 2, 4, 6 e 8, C .P.,
per avere fatto parte di una associazione di tipo mafioso, diretta, avvalendosi
della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di
assoggettamento e di omertà che ne deriva, condizioni tipiche della zona di
insediamento, caratterizzata da antica e persistente presenza mafiosa, a
commettere delitti di ogni genere ed in particolare omicidi, tentati omicidi,
estorsioni, traffico di sostanze stupefacenti, usura, ad acquisire in modo
diretto od indiretto la gestione o comunque il controllo di attiviotà ed
iniziative economiche pubbliche e private, a realizzare profitti e vantaggi
ingiusti anche di tipo elettorale, con l'aggravante della disponibilità di
armi, munizioni ed esplosivo e della provenienza delittuosa delle risorse
finanziarie mediante le quali acquisire e mantenere il controllo di attività
economiche, nonchè della qualità di capi, promotori ed organizzatori per AQUINO
Francesco ed AQUINO Giuseppe.”
[2] …omissis… Nel
colloquio del 1.10.1992 MAZZAFERRO Vincenzo riferì a proposito degli AQUINO che
essi erano ancora dediti al traffico di sostanze stupefacenti e che anzi non
avevano mai smesso di operare in questo settore. La droga trattata era sia la
cocaina che l'eroina, che arrivava in grosse forniture dall'estero, come il
MAZZAFERRO sapeva da fonte sicura, assai vicina agli AQUINO, tanto da potere
affermare "comunque la portano, e ce l'hanno continuamente". E più
oltre riferisce: "Comunque tenga presente che la roba ce l'hanno. E gli
arriva. Di questo qui ne è certo quello che
fa più...che è proprio a capo della situazione è proprio Giuseppe, con
suo zio Rocco". E' più oltre MAZZAFERRO ribadisce tale affermazione,
aggiungendo ai due l'altro fratello più piccolo ("quello lì che lo mandano
avanti indietro"), vale a dire Domenico il biondino. A questi componenti
della famiglia AQUINO vanno aggiunti i fratelli COLUCCIO, quelli dell'Hotel
Kennedy. E proprio a proposito di "Domenico il Biondino", MAZZAFERRO
aggiunge che sarebbe l'elemento utilizzato per i collegamenti con Rosarno,
soprattutto dopo l'arresto di Rocco, e precisamente con i PISANO, cuigli AQUINO
"forniscono grossi quantitativi di droga". Altre località rifornite
di droga dagli AQUINO sarebbero inoltre - secondo MAZZAFERRO - Soverato e
Crotone e tra i più stretti collaboratori del gruppo vi sarebbe SCALI Pasquale,
anch'egli utilizzato come corriere. La parte più cospicua delle forniture era
pur sempre quella effettuata verso i PISANO, e precisamente verso
"Turi" PISANO. Chiariva ancora il MAZZAFERRO che gli AQUINO (che
insieme agli URSINO-MACRI' erano quelli che in quel momento "hanno la
droga ad alto livello") non avevano bisogno di trasferire a Gioiosa, nel
proprio territorio, tutta la droga acquistata, preferendo anzi
"parcheggiarla a Catanzaro, Crotone, Bari, ovunque", trasferendola
poi presso di loro man mano che serve. Riferiva ancora MAZZAFERRO di aver
saputo che circa tre mesi prima (e dunque nell'estate del 1992) era arrivato
agli AQUINO un carico di 100
kg . di droga "e l'avevano tutto giù", la
maggior parte della quale era stata poi ceduta a Turi PISANO…omissis…”.
[3] In tali
settori, infatti, le attività investigative dell’ultimo decennio avevano rilevato
la costituzione di “cartelli” di cosche per la gestione, attraverso imprese di
riferimento, di importanti opere infrastrutturali ricadenti nel territorio di
più sodalizi, nonché per l’organizzazione di ingenti quantitativi di cocaina
dal sudamerica, attraverso i contatti di “brokers” calabresi con le
organizzazioni produttrici.
[4] Nella
zona di Zurigo, nonché nelle città di Singen, Francoforte ed altre località
tedesche.
Nessun commento:
Posta un commento
Puoi commentare questa notizia.