Cassazione: i certificati medici non possono essere prorogati al telefono
18 maggio 2012
I medici di base non possono
prorogare i certificati medici di malattia per telefono anche nel caso
in cui abbiano visitato il paziente da loro assistito pochi giorni prima
attestandone il reale stato di malattia.
Lo sottolinea la Cassazione. Con la sentenza 18.687 della V Sezione Penale è stato, infatti, condannato un medico di famiglia di Milano con l’accusa di aver compilato un falso certificato medico con il quale prorogava la prognosi di decorso di una malattia di una sua paziente. Il camice bianco non aveva visitato la paziente ma si era limitato a scrivere il certificato sulla sola base dei sintomi di persistenza del male riferitigli per telefono dalla signora. Senza successo, in Cassazione, Daniele B. ha fatto presente di aver visitato Vittoria G. di persona, solo quattro giorni prima di prorogarle lo stato di malattia e che, pertanto, le era sembrato credibile il protrarsi dei sintomi della patologia lamentata.
I Supremi giudici gli hanno risposto che «non è consentito al sanitario effettuare valutazioni o prescrizioni semplicemente sulla base di dichiarazioni effettuate per telefono dai suoi assistiti». «Ciò rende irrilevanti – prosegue l’Alta Corte – le considerazioni sulla effettiva sussistenza della malattia o sulla induzione in errore da parte della paziente». Insieme al medico è stata condannata anche la sua assistita, la signora Vittoria G., colpevole, di conseguenza, di aver fatto uso della falsa certificazione per giustificare la sua assenza dal lavoro. L’entità delle condanne non è riportata dalla sentenza 18.687 che conferma il verdetto emesso dalla Corte d’Appello di Milano il 14 febbraio 2011. In primo grado i due imputati erano stati, invece, assolti.
Lo sottolinea la Cassazione. Con la sentenza 18.687 della V Sezione Penale è stato, infatti, condannato un medico di famiglia di Milano con l’accusa di aver compilato un falso certificato medico con il quale prorogava la prognosi di decorso di una malattia di una sua paziente. Il camice bianco non aveva visitato la paziente ma si era limitato a scrivere il certificato sulla sola base dei sintomi di persistenza del male riferitigli per telefono dalla signora. Senza successo, in Cassazione, Daniele B. ha fatto presente di aver visitato Vittoria G. di persona, solo quattro giorni prima di prorogarle lo stato di malattia e che, pertanto, le era sembrato credibile il protrarsi dei sintomi della patologia lamentata.
I Supremi giudici gli hanno risposto che «non è consentito al sanitario effettuare valutazioni o prescrizioni semplicemente sulla base di dichiarazioni effettuate per telefono dai suoi assistiti». «Ciò rende irrilevanti – prosegue l’Alta Corte – le considerazioni sulla effettiva sussistenza della malattia o sulla induzione in errore da parte della paziente». Insieme al medico è stata condannata anche la sua assistita, la signora Vittoria G., colpevole, di conseguenza, di aver fatto uso della falsa certificazione per giustificare la sua assenza dal lavoro. L’entità delle condanne non è riportata dalla sentenza 18.687 che conferma il verdetto emesso dalla Corte d’Appello di Milano il 14 febbraio 2011. In primo grado i due imputati erano stati, invece, assolti.
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