Addio ticket, via alla franchigia tutti pagheranno in base al reddito
13 maggio 2012
IL SISTEMA di compartecipazione o
“copayment”, in vigore da più di trent’anni (fu introdotto con la
Finanziaria del 1982), potrebbe andare in pensione: scompariranno i
ticket che oggi paghiamo su farmaci, visite specialistiche, analisi
strumentali e di laboratorio, ricoveri al Pronto soccorso. Il tutto
attualmente per un costo per i cittadini di circa quattro miliardi
all’anno che potrebbe salire a sei quando, nel 2014, entreranno in
vigore le norme delle manovre estive dello scorso anno che prevedono un
rincaro dei ticket per quasi due miliardi.
Scomparsi i ticket come si pagherà? Ciascuno di noi avrà una franchigia, calcolata in percentuale del reddito, fino al concorrere della quale dovrà pagare interamente ogni prestazione sanitaria, farmaco, analisi o intervento chirurgico. Ad esempio, un pensionato con 10 mila euro di reddito lordo, avrà una franchigia pari al 3 per mille dunque 30 euro: questa cifra sarà il costo massimo che dovrà sborsare per accedere a qualsiasi prestazione sanitaria, pochi medicinali o un maxi intervento chirurgico.
Oltre questo plafond, sarà tutto gratuito. Naturalmente chi ha un reddito lordo di 100 mila euro, come un professionista, avrà una franchigia più alta, circa di 300 euro: ciò significa che fino al raggiungimento di questa cifra, ad esempio, acquistando farmaci e sottoponendosi ad una visita specialistica, dovrà pagare tutto di tasca sua. Sopra i 300 anche per lui sarà tutto gratis.
La franchigia varrà per l’arco degli ultimi dodici mesi: in questo periodo si esaurirà il ciclo di raggiungimento del plafond a pagamento e dell’accesso gratuito a tutte le prestazioni. Dopo i dodici mesi si ricomincerà a pagare fino al proprio personale plafond e, una volta superato il livello, si accederà gratuitamente.
Chi terrà questa contabilità? Una tessera sanitaria intelligente, dotata di chip come un bancomat, che sostituirà di qui ad un anno le attuali tessere. Naturalmente parlare di contabilità ha un senso solo quando sono in ballo piccole prestazioni e pochi farmaci, quando c’è di mezzo un intervento chirurgico quello che conta è che si pagherà fino al raggiungimento del proprio plafond e il resto sarà a carico del Servizio sanitario.
Chi sarà soggetto al sistema della franchigia? Praticamente tutti: scompariranno le esenzioni in base al reddito (ora 36 mila euro circa), l’età (bambini fino a sei anni e anziani oltre i 65), cronici e invalidi. Tutti avranno una franchigia in base al reddito familiare complessivo. Con due varianti: il reddito sarà valutato non solo in base all’Irpef, ma in base all’Isee (che tiene conto della consistenza patrimoniale) e moderato da una sorta di “quoziente familiare” che terrà conto del numero dei figli.
Il piano dovrà comunque passare al vaglio delle Regioni in vista del tavolo sul Patto per la salute. Per ora le reazioni sono negative: “Ipotesi da scartare, colpirebbe tutti indistintamente, sarebbe la riedizione della tassa sulla salute degli Anni Novanta”, ha dichiarato Luca Coletto, coordinatore degli assessori regionali alla Sanità. Il ministero della Salute assicura comunque che gli incassi del nuovo sistema a franchigia saranno pari a quelli con i vecchi ticket.
Scomparsi i ticket come si pagherà? Ciascuno di noi avrà una franchigia, calcolata in percentuale del reddito, fino al concorrere della quale dovrà pagare interamente ogni prestazione sanitaria, farmaco, analisi o intervento chirurgico. Ad esempio, un pensionato con 10 mila euro di reddito lordo, avrà una franchigia pari al 3 per mille dunque 30 euro: questa cifra sarà il costo massimo che dovrà sborsare per accedere a qualsiasi prestazione sanitaria, pochi medicinali o un maxi intervento chirurgico.
Oltre questo plafond, sarà tutto gratuito. Naturalmente chi ha un reddito lordo di 100 mila euro, come un professionista, avrà una franchigia più alta, circa di 300 euro: ciò significa che fino al raggiungimento di questa cifra, ad esempio, acquistando farmaci e sottoponendosi ad una visita specialistica, dovrà pagare tutto di tasca sua. Sopra i 300 anche per lui sarà tutto gratis.
La franchigia varrà per l’arco degli ultimi dodici mesi: in questo periodo si esaurirà il ciclo di raggiungimento del plafond a pagamento e dell’accesso gratuito a tutte le prestazioni. Dopo i dodici mesi si ricomincerà a pagare fino al proprio personale plafond e, una volta superato il livello, si accederà gratuitamente.
Chi terrà questa contabilità? Una tessera sanitaria intelligente, dotata di chip come un bancomat, che sostituirà di qui ad un anno le attuali tessere. Naturalmente parlare di contabilità ha un senso solo quando sono in ballo piccole prestazioni e pochi farmaci, quando c’è di mezzo un intervento chirurgico quello che conta è che si pagherà fino al raggiungimento del proprio plafond e il resto sarà a carico del Servizio sanitario.
Chi sarà soggetto al sistema della franchigia? Praticamente tutti: scompariranno le esenzioni in base al reddito (ora 36 mila euro circa), l’età (bambini fino a sei anni e anziani oltre i 65), cronici e invalidi. Tutti avranno una franchigia in base al reddito familiare complessivo. Con due varianti: il reddito sarà valutato non solo in base all’Irpef, ma in base all’Isee (che tiene conto della consistenza patrimoniale) e moderato da una sorta di “quoziente familiare” che terrà conto del numero dei figli.
Il piano dovrà comunque passare al vaglio delle Regioni in vista del tavolo sul Patto per la salute. Per ora le reazioni sono negative: “Ipotesi da scartare, colpirebbe tutti indistintamente, sarebbe la riedizione della tassa sulla salute degli Anni Novanta”, ha dichiarato Luca Coletto, coordinatore degli assessori regionali alla Sanità. Il ministero della Salute assicura comunque che gli incassi del nuovo sistema a franchigia saranno pari a quelli con i vecchi ticket.
Fonte: repubblica.it
I blog non sono stampa clandestina. Sentenza storica della Cassazione
13 maggio 2012
Lunga vita a blog e blogger. Dopo
decenni di incertezza sulla natura dei “diari della rete”, la Cassazione
ha sciolto ogni dubbio: i blog non sono testate giornalistiche e non
devono essere registrati in tribunale. Di conseguenza non possono essere
chiusi perché colpevoli del reato di stampa clandestina previsto dalla
legge 47 dell’8 febbraio 1948, meglio conosciuta come legge sulla
stampa. La terza Sezione della Corte – presieduta da Saverio Felice
Mannino, con la relazione del magistrato Santi Gazzara e la presenza del
sostituto procuratore generale Policastro – si è pronunciata sul caso
del giornalista e blogger siciliano Carlo Ruta, giudicato colpevole di
stampa clandestina in primo e secondo grado.
Una vicenda che inizia nel 2004. Ruta viene querelato per diffamazione dal procuratore della Repubblica di Ragusa Agostino Fera per aver pubblicato sul suo blog “Accade in Sicilia” alcuni documenti relativi all’assassinio del giornalista Giovanni Spampinato, ucciso a Ragusa nel 1972 a soli 22 anni. Alla fine del processo, nel 2008, il Tribunale di Modica condanna il giornalista sia per il reato di diffamazione che per quello di stampa clandestina. Il blog, secondo il giudice, è una testata come lo sono i quotidiani e senza la registrazione è “clandestino” e deve essere chiuso. Nel 2011 arriva anche la conferma della Corte d’Appello di Catania. Intorno al caso, unico nel suo genere in Europa, si apre un dibattito mondiale animatissimo. Esperti, attivisti e blogger, preoccupati per il destino di migliaia di blog e altre forme di espressione su internet, si mobilitano in supporto al giornalista e sessanta storici italiani firmano un lettera di solidarietà. Ieri la sentenza che finalmente permette ai blogger di tirare un sospriro di sollievo. Ma la rete non parla di guerra vinta. “Il quadro normativo – scrive l’avvocato Guido Scorza sul suo blog – interpretato ed applicato dai Giudici di Modica e da quelli di Catania è, ancora, quello, ambiguo e confuso, sulla cui base questi ultimi sono pervenuti alle conclusioni ora travolte dalle decisione della Cassazione”. Esistono altri casi che non sono andati a buon fine come quello di Ruti e per cui il popolo del web chiede al Parlamento di cambiare la normativa per una maggiore tutela della libertà di espressione online.
Una vicenda che inizia nel 2004. Ruta viene querelato per diffamazione dal procuratore della Repubblica di Ragusa Agostino Fera per aver pubblicato sul suo blog “Accade in Sicilia” alcuni documenti relativi all’assassinio del giornalista Giovanni Spampinato, ucciso a Ragusa nel 1972 a soli 22 anni. Alla fine del processo, nel 2008, il Tribunale di Modica condanna il giornalista sia per il reato di diffamazione che per quello di stampa clandestina. Il blog, secondo il giudice, è una testata come lo sono i quotidiani e senza la registrazione è “clandestino” e deve essere chiuso. Nel 2011 arriva anche la conferma della Corte d’Appello di Catania. Intorno al caso, unico nel suo genere in Europa, si apre un dibattito mondiale animatissimo. Esperti, attivisti e blogger, preoccupati per il destino di migliaia di blog e altre forme di espressione su internet, si mobilitano in supporto al giornalista e sessanta storici italiani firmano un lettera di solidarietà. Ieri la sentenza che finalmente permette ai blogger di tirare un sospriro di sollievo. Ma la rete non parla di guerra vinta. “Il quadro normativo – scrive l’avvocato Guido Scorza sul suo blog – interpretato ed applicato dai Giudici di Modica e da quelli di Catania è, ancora, quello, ambiguo e confuso, sulla cui base questi ultimi sono pervenuti alle conclusioni ora travolte dalle decisione della Cassazione”. Esistono altri casi che non sono andati a buon fine come quello di Ruti e per cui il popolo del web chiede al Parlamento di cambiare la normativa per una maggiore tutela della libertà di espressione online.
di Paola Rosa Adragna
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