Ecco – in sintesi – cosa sta per accadere nel nostro Paese. E se le comunità terapeutiche e i servizi pubblici per le dipendenze hanno salvato centinaia di migliaia di ragazzi negli ultimi decenni, nei prossimi almeno altrettanti giovani (e non) rischiano di andare perduti. Nonostante le dipendenze da stupefacenti siano via via andate moltiplicandosi, diversificandosi e intrecciandosi con certe più recenti, come appunto il gioco d’azzardo o internet. Perché i privati buoni samaritani stanno per essere costretti a smettere di esserlo, affogati nelle spese e nei debiti contratti con le banche. Mentre i budget delle aziende sanitarie locali non hanno più spazio per chi dipende da qualcosa, sostanza o altro che sia.
Meno dello 0,5% della spesa sanitaria. Punto d’inizio della fine: l’abbattimento del fondo generale per le tossicodipendenze. Sarebbe a dire che attualmente, soltanto perché sopravvivano comunità e “Servizi per le dipendenze” pubblici (Serd), servirebbe che ogni Regione destini l’1% della sua spesa sanitaria al contrasto delle dipendenze: la media nazionale è invece attestata allo 0,5%, con Regioni ormai sprofondate allo 0,1/0,2% e altre (poche, le più… virtuose) allo 0,7/0,8%.
Il 13% in meno di ingressi. Una prima conseguenza è che i Serd (dai quali bisogna passare obbligatoriamente) mandano assai meno ragazzi nelle comunità, perché i loro bilanci non permettono poi di pagare rette o convenzioni. Così per esempio la “Federazione italiana delle comunità terapeutiche” (Fict) ha avuto complessivamente il 13% in meno di ingressi (non di richieste) nel giro di un anno: il 17% in meno nelle comunità del sud, 15% in quelle del centro e l’8,50% al nord. Non solo, ma gli stessi Serd neppure hanno soldi per fare ricerca e quindi poter intercettare i (vecchi e nuovi) problemi. Sono stati cioè affondati nella più pericolosa delle paralisi, perché gli stili di uso e abuso di sostanze intanto cambiano a velocità impressionante e senza soste.
Fine della lotta alle dipendenze? Via via, grazie a questa situazione, ha già da tempo chiuso i battenti il 30% dei servizi che offrivano le comunità. «Soprattutto le residenzialità e quelli per la prevenzione», spiega Luciano Squillaci, vicepresidente Fict: «I servizi a bassa soglia, quelli drop in e drop out», come ad esempio le unità di strada. Anche da Squillaci la considerazione finale è identica a quella di qualunque altro operatore: «Se le cose rimangono come stanno, entro tre anni rischiamo di destrutturare completamente il sistema di lotta alle dipendenze. E a dirla tutta è una prospettiva in linea con tutti gli altri servizi legati al disagio e all’emarginazione».
Tre milioni di consumatori. Dunque la seria prevenzione ormai sembra essere una pia illusione. Eppure servirebbe, eccome se servirebbe: basta riguardare i dati che riguardano il nostro Paese, stando all’ultima Relazione governativa sulla droga. Nel 2010 i consumatori di stupefacenti sono risultati 2.924.500 persone, la percentuale d’ingressi in carcere di soggetti che presentavano problemi sociosanitari correlati con la droga è stata il 28%. E infine, l’Italia «continua a collocarsi tra i principali Paesi europei come area di transito e di consumo di sostanze stupefacenti». Quanto all’azzardo le cose non vanno meglio: oltre un milione e 300mila persone «giocano in modo problematico», fa sapere il Cnr.
Meno operatori, più utenti. Al 31 dicembre 2010 le strutture sociosanitarie dedicate a cura e recupero delle dipendenze erano 1.647, con 554 servizi pubblici (6.793 operatori, cioè meno 9,2% rispetto al 2000 a fronte di un aumento dell’utenza pari al 26,1%). Le strutture del privato sociale erano 1.093 (65,4% residenziali, il 18,5% semiresidenziali e il 16,1% ambulatoriali), con una diminuzione dell’1,4% rispetto al 2009. E infine gli utenti assistiti dai Serd nel 2010 erano stati 184.968.
Meno dello 0,5% della spesa sanitaria. Punto d’inizio della fine: l’abbattimento del fondo generale per le tossicodipendenze. Sarebbe a dire che attualmente, soltanto perché sopravvivano comunità e “Servizi per le dipendenze” pubblici (Serd), servirebbe che ogni Regione destini l’1% della sua spesa sanitaria al contrasto delle dipendenze: la media nazionale è invece attestata allo 0,5%, con Regioni ormai sprofondate allo 0,1/0,2% e altre (poche, le più… virtuose) allo 0,7/0,8%.
Il 13% in meno di ingressi. Una prima conseguenza è che i Serd (dai quali bisogna passare obbligatoriamente) mandano assai meno ragazzi nelle comunità, perché i loro bilanci non permettono poi di pagare rette o convenzioni. Così per esempio la “Federazione italiana delle comunità terapeutiche” (Fict) ha avuto complessivamente il 13% in meno di ingressi (non di richieste) nel giro di un anno: il 17% in meno nelle comunità del sud, 15% in quelle del centro e l’8,50% al nord. Non solo, ma gli stessi Serd neppure hanno soldi per fare ricerca e quindi poter intercettare i (vecchi e nuovi) problemi. Sono stati cioè affondati nella più pericolosa delle paralisi, perché gli stili di uso e abuso di sostanze intanto cambiano a velocità impressionante e senza soste.
Fine della lotta alle dipendenze? Via via, grazie a questa situazione, ha già da tempo chiuso i battenti il 30% dei servizi che offrivano le comunità. «Soprattutto le residenzialità e quelli per la prevenzione», spiega Luciano Squillaci, vicepresidente Fict: «I servizi a bassa soglia, quelli drop in e drop out», come ad esempio le unità di strada. Anche da Squillaci la considerazione finale è identica a quella di qualunque altro operatore: «Se le cose rimangono come stanno, entro tre anni rischiamo di destrutturare completamente il sistema di lotta alle dipendenze. E a dirla tutta è una prospettiva in linea con tutti gli altri servizi legati al disagio e all’emarginazione».
Tre milioni di consumatori. Dunque la seria prevenzione ormai sembra essere una pia illusione. Eppure servirebbe, eccome se servirebbe: basta riguardare i dati che riguardano il nostro Paese, stando all’ultima Relazione governativa sulla droga. Nel 2010 i consumatori di stupefacenti sono risultati 2.924.500 persone, la percentuale d’ingressi in carcere di soggetti che presentavano problemi sociosanitari correlati con la droga è stata il 28%. E infine, l’Italia «continua a collocarsi tra i principali Paesi europei come area di transito e di consumo di sostanze stupefacenti». Quanto all’azzardo le cose non vanno meglio: oltre un milione e 300mila persone «giocano in modo problematico», fa sapere il Cnr.
Meno operatori, più utenti. Al 31 dicembre 2010 le strutture sociosanitarie dedicate a cura e recupero delle dipendenze erano 1.647, con 554 servizi pubblici (6.793 operatori, cioè meno 9,2% rispetto al 2000 a fronte di un aumento dell’utenza pari al 26,1%). Le strutture del privato sociale erano 1.093 (65,4% residenziali, il 18,5% semiresidenziali e il 16,1% ambulatoriali), con una diminuzione dell’1,4% rispetto al 2009. E infine gli utenti assistiti dai Serd nel 2010 erano stati 184.968.
Fonte: avvenire.it
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