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venerdì 17 febbraio 2012

ADICO: Le news

La Consulta: le regioni non devono aumentare le tasse per far fronte alle calamità naturali
17 febbraio 2012
La Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale della cosiddetta «tassa sulle calamità», la norma introdotta l’anno scorso nel disegno di legge cosiddetto Milleproroghe che stabiliva che in caso di calamità naturali, le Regioni prima di poter accedere a eventuali aiuti da parte dello Stato, dovessero elevare al massimo le proprie addizionali fiscali per recuperare fondi per l’emergenza. A impugnare la normativa erano state sei Regioni.
LA SENTENZA – Secondo i giudici la norma è in contrasto con gli articoli 77, 119, 23 e 123 della Costituzione. Le disposizioni in esame «regolano i rapporti finanziari tra Stato e Regioni in materia di protezione civile – si legge nella sentenza numero 22 – non con riferimento ad uno o più specifici eventi calamitosi, o in relazione a situazioni già esistenti e bisognose di urgente intervento normativo, ma in via generale e ordinamentale per tutti i casi futuri di possibili eventi calamitosi». Secondo la Corte, tali norme, inserite con emendamento al decreto Milleproroghe convertito in legge nel febbraio 2011, «sono del tutto estranee alla materia e alle finalità» del testo di legge, per cui innanzitutto violano l’articolo 77, secondo comma, della Costituzione. Inoltre, si legge ancora nella sentenza, risulta violato anche l’articolo 119, quarto comma, della Carta Costituzionale «sotto il profilo del legame necessario tra le entrate delle Regioni e le funzioni delle stesse, poichè lo Stato, pur trattenendo per sè le funzioni in materia di protezione civile, ne accolla i costi alle regioni stesse». Ancora, le norme censurate «impongono alle stesse regioni di destinare risorse aggiuntive per il funzionamento di organi e attività statali». Infine, il punto in cui la norma prevede che il presidente della regione interessato è autorizzato a deliberare gli aumenti fiscali ivi previsti è in contrasto sia con l’articolo 23 della Costituzione, «in quanto viola la riserva di legge in materia tributaria», sia con l’articolo 123 della Costituzione «poichè lede l’autonomia statutaria regionale nell’individuare con norma statale l’organo della regione titolare di determinate funzioni».

Fonte: il corriere.it




Giovani senza più lavoro
16 febbraio 2012
L’occupazione dei giovani tra i 18 e i 29 anni continua a calare e «nella media dei primi tre trimestri del 2011 ha subito una flessione del 2,5% (circa 80 mila unità)». È quanto ha affermato il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, nel corso di un’audizione alla commissione Bilancio della Camera dei deputati.
Per i giovani tra i 18 e 29 anni il tasso di disoccupazione è sceso dal 20,5% del primo trimestre 2011 al 18,6% del terzo trimestre, rimanendo, però, almeno 11 punti percentuali al di sopra del tasso di disoccupazione complessivo.
Guardando alla fascia d’età 15-24 anni, la disoccupazione in Italia risulta pari al 31%, la più alta dopo la Spagna. Attenzione, però: a lamentarsi sono anche le imprese. Secondo la Cgia, nel 2011 sono rimasti vacanti oltre 45 mila posti a causa della scarsità di candidati o della loro impreparazione.
UN QUARTO DELLA POPOLAZIONE A RISCHIO POVERTÀ. In ogni caso, si tratta di un trend che si ripercuote duramente sulla qualità della vita degli italiani. Nel 2010, circa un quarto (24,5%) della popolazione era a rischio povertà ed esclusione sociale, valore più elevato della media europea (21,5% se calcolata sui soli 17 Paesi dell’area euro e 23,4% tra i 27 Paesi).
DALLA DEINDICIZZAZIONE, RISPARMIO NETTO DI 13 MLD. Sul versante pensionistico, Giovannini ha illustrato le stime economiche del blocco della indicizzazione, spiegando che «comporterebbe un risparmio netto di quasi 13 miliardi di euro nel triennio 2012-2014»; mentre «altri 4 miliardi sono attesi dalla revisione del sistema pensionistico».
DALL’AUMENTO DELL’IVA, UN EFFETTO DEPRESSIVO. Chiusura dedicata all’aumento dell’Iva: «È possibile che la traslazione sui prezzi di un ulteriore aumento delle aliquote Iva sia meno che proporzionale (come avvenuto nel caso del recente aumento dell’aliquota dal 20% a 21%)», ha spiegato Giovannini, «ma l’effetto depressivo sulla domanda di consumi di una tale manovra sarebbe comunque non trascurabile».

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