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mercoledì 11 luglio 2012

ADICO: LE NEWS


GIOVANI, LA VERA CRISI SCOPPIERÀ TRA TRENT’ANNI


10 luglio 2012
«Siamo un paese vecchio con idee vecchie», ha detto Cesare Prandelli a Giorgio Napolitano (87 anni)al ritorno della Nazionale dalla spedizione europea. Si potrebbe aggiungere che i giovani ci sono, ma le loro idee vengono tenute vengono tenute a riposo per mancanza di opportunità. Per l’Istat a maggio 2012 i giovani disoccupati tra i 15 e i 24 anni sono arrivati alla quota record del 36,2%. Mai in passato si era toccato un livello simile, e l’escalation è diventata inarrestabile nell’ultimo anno. Se infatti dal 2004 al 2011 l’aumento era stato di soli tre punti percentuali (dal 24.1 al 27.5) nei dodici mesi più recenti si è passati al 36.2%: tradotto in soldoni, vuol dire che 635 mila giovani in cerca di lavoro, più di uno ogni tre, resta a mani vuote. In realtà il dato si presta a diverse considerazioni. Da un lato, infatti, l’impennata è stata determinata dalla diminuizione del numero degli «inattivi». Si tratta di quelle persone che prima non cercavano lavoro e adesso, visti i morsi della crisi, hanno deciso di provare a trovare un’occupazione. Se fino a un anno fa erano poco più di 15 milioni, ora sono scese sono la soglia dei 14.5 milioni. Le oltre500mila «mancanti» si sono rimesse in pista ma, in gran parte, hanno ingrossato le fila dei disoccupati. Preoccupante, semmai, è il fatto che tra gli occupati vengano considerati quelli che, nella settimana di riferimento, abbiano svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura. Sarà anche noioso il posto fisso, come ha sostenuto mesi fa il premier Monti. Ma tra partite Iva, co.co.co. e altri tipi di lavoro interinale, il futuro dell’attuale generazione resta una grossa incognita. Per capirne il motivo basta porsi il problema della pensione. «Se oggi chi ha cominciato a lavorare prima degli anni ’70 percepirà un assegno previdenziale intorno all’80% dell’ultimo stipendio, a parità di contributi un giovane che entra oggi nel mondo del lavoro non andrà molto oltre il 50%», spiega Ivan Guizzardi, segretario generale di Felsa Cisl. Senza dimenticare che conquistare un’occupazione – a 15, 24 o 36 anni che sia – vuol dire sempre di meno poterla conservare per 40 anni. È la precarietà, bellezza. Ma è anche il fattore che spingerà i giovani a non metter su famiglia o a farlo in età avanzata. Che vuol dire consumi ridotti all’osso a meno che non siano sostenuti dai risparmi dei genitori. Non è un caso se un ricerca effettuata a giugno da Intesa San Paolo e dal Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi ha dimostrato che ormai solo il 38,7% delle famiglie italiane riesce a risparmiare, quasi la metà (46,2%) ha iniziato a intaccare i propri risparmi e la percentuale di chi giudica sufficiente il proprio reddito per il mantenimento del tenore di vita è scesa al minimo storico (45,7%). E per chi non vuol sopravvivere sulle spalle della propria famiglia? La soluzione adottata in passato era andare all’estero. Ma anche da questo punto di vista le cose sono peggiorate. La media della disoccupazione giovanile nei 27 paesi della Ue è salita al 22.7%. Nazioni che prima venivano considerate l’«eldorado» per cominciare una nuova vita ora attraversano una crisi senza fine: l’esempio più lampante è la Spagna, dove è senza lavoro più di un giovane su due, il 52%. Stesso dato in Grecia, ma è in tutti gli Stati, a eccezione della Germania, che la tendenza è al ribasso. Resta il sogno Australia, mercato del lavoro in rapida espansione. Resta, soprattutto, l’opzione di rimanere nel paese d’origine e accontentarsi di lavori più umili rispetto al titolo di studio conseguito. Da questo punto di vista, i giovani italiani sono ancora tra i più restii a «ridimensionarsi». In Olanda oltre il 40% degli occupati lavora al di sotto della propria specializzazione. Negli Stati Uniti, in Giappone, Portogallo, Spagna e Grecia la soglia resta oltre il 30%. In Italia, invece, si oscilla tra il 23 e il 24%. Forse sarebbe meglio abbassare le pretese. Il ballo c’è il futuro di una generazione.
di Carlo Antonio Solimene
Fonte: iltempo.it

A TAVOLA SPENDE DI PIÙ LA FAMIGLIA CAMPANA. IL TRENTINO È IL MENO CARO


9 luglio 2012
La spesa delle famiglie per la tavola in Campania è il 38% superiore di quelle in Trentino Alto Adige e si posiziona al top della classifica italiana con 558 euro al mese per il solo acquisto di alimenti e bevande rispetto agli abitanti del Trentino Alto Adige che con 403 euro al mese fanno segnare il valore più basso a livello nazionale. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat sui consumi delle famiglie nel 2011 che fotografa le abitudini alimentari regionali.
In Italia la tavola è – sostiene la Coldiretti – una componente importante della spesa familiare della quale assorbe in media ben il 19% delle risorse con una spesa media mensile per famiglia è stata di 478 euro al mese.
In media la maggiore percentuale della spesa è destinata all’acquisto nell’ordine di carne (114 euro), frutta e ortaggi (85 euro), pane e pasta (80 euro), latte e formaggi (65 euro), pesce (42 euro), bevande (42 euro), zucchero e caffè (35 euro) e oli e grassi (15 euro).
Dietro il valore nazionale si nascondono notevoli differenze a livello regionale con i consumi per alimentari e bevande che nel Mezzogiorno d’Italia sono la prima voce di spesa e assorbono oltre un quarto della spesa complessiva.
La situazione – conclude la Coldiretti – varia tuttavia notevolmente da Nord a Sud nelle diverse regioni,dall’importo minimo di 403 euro al mese in Trentino Alto Adige, ai 438 in Friuli Venezia Giulia, 444 in Basilicata, 445 in Sicilia, 453 in Abruzzo, 456 in Molise, 460 in Emilia Romagna, Toscana e Puglia, 463 in Valle d’Aosta, 467 in Liguria e in Veneto, 476 in Sardegna, 477 nel Lazio, 481 in Piemonte, 486 nelle Marche, 489 in Calabria, 491 in Lombardia e 506 in Umbria, fino ai 558 della Campania.

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