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martedì 15 marzo 2011

UNA GITA A... ROCCAFORTE DEL GRECO – VUNI'


Roccaforte del Greco è un paese di montagna, che si sviluppa, a 970 metri sul livello del mare, su due cocuzzoli di roccia. Arrivandovi, appena raggiunta la pianura, dopo una ripida strada di curve e tornanti, si può scorgere la sagoma del centro abitato: due parti, corrispondenti alle sommità delle due rocce, dominate, ognuna, da una chiesetta. La parte più antica del paese è costellata da tetti a tegole e resti di vecchie case andate in rovina: la gente del posto la chiama “castello”, probabilmente perché questa era la parte in cui dominava un'antica famiglia di baroni, possessori di un castello grande quanto l'intera zona e dotato di una costruzione posta più in alto, forse a guardia del loro territorio.
La periferia più a sud, che è l'entrata di Roccaforte, è decisamente più attuale: le abitazioni sono di fattura moderna e costruite sulla pianura, a differenza delle casette che troveremo all'interno del paese. Questa periferia è denominata dagli abitanti “sciangai”: qui sono state costruite delle palazzine (che sostituivano delle baracche) dopo l'alluvione del'51 che mise in ginocchio Roccaforte. Molta gente venne fatta sfollare a L'Aquila, per chi invece volle rimanere furono approntate delle casette a schiera nella zona più pianeggiante del paese. Gli anziani raccontano che la definizione “sciangai” sia dovuta proprio a queste costruzioni moderne che, in un paese piuttosto povero, dove le case rispondevano a dei criteri di sopravvivenza senza pretese, sembrarono un'opera di alta ingegneria che rendeva l'idea quasi di una metropoli iperindustrializzata e futuristica come appunto la popolosa Shanghai cinese; oppure, secondo un'altra versione, tale denominazione proviene  dalla lontananza di questo rione rispetto al cuore di Roccaforte: raggiungerlo era un po' come partire per una meta distante, quasi estranea al paese stesso.

Lungo viuzze strette e ripide ci si inerpica nelle zone vecchie del paese,in cui piccole e basse case, attaccate le une alle altre, sembrano essere un tutt'uno con le rocce su cui son costruite...Pare manchi l'idea di spazio mentre le si percorre, ma in pochi minuti, arrivando in alto si apre una visione panoramica che comprende tutto lo spazio di cui si sentiva la mancanza. E' tipico di questi paesini interni, costruiti magistralmente su rocce che fungono da elemento strutturale delle stesse abitazioni, questa impressione quasi asfittica dell'intorno, che viene meno non appena si raggiunge un punto in alto da cui si può ammirare un immenso panorama che spazia dal selvaggio delle  montagne al chiarore illuminato della marina. E' possibile seguire il corso della fiumara  Amendolea, un letto che si incurva quasi a cercare la via più agevole che i costoni dei monti le possono permettere, fino ad arrivare alla foce nel mar Ionio. Il silenzio, l'aria fresca, i lontani belati di greggi in pascolo, qualche cinguettio completano la cornice sensoriale di questo panorama.

Il nome grecanico di Roccaforte del Greco è Vunì: semplicemente “montagna”, mentre nei documenti (fino al Regio Decreto dell'8 maggio 1864) viene indicato come “Roccaforte”. Nel periodo in cui era casato di Amendolea, veniva chiamato “La Rocca”, probabilmente con riferimento alla caratteristica fisica di questo paesino: si sviluppa su due vette rocciose e la roccia è elemento costante e visibile all'interno dello stesso, ora come parete che affianca la strada, ora come ballatoio  su cui si ergono terrazzini adornati di piante e fiori. Il glottologo tedesco Rohlfs (che studiò i dialetti dell'area ellenofona) attribuì la derivazione di questa denominazione dal termine “rocca”, dunque sarebbe un toponimo, cui si è affiancata la specificazione “del greco” - in quanto paese di fondazione magnogreca- solo in epoca tarda.
Roccaforte fa parte dei cinque paesi dell'area ellenofona: i cinque paesi in cui, fino agli anni '50, si utilizzava il grecanico come lingua della comunicazione quotidiana, quantomeno fra le persone più anziane del posto. Tuttora, il dialetto parlato dai vecchietti è costellato di termini grecanici, usati con naturalezza e disinvoltura, come se non se ne conoscesse il corrispettivo nell'evoluzione che la lingua ha seguito.
L'origine e la fondazione di Vunì sono raccontate da due teorie ipotizzate dagli studiosi, ognuna delle quali data in epoche diverse la nascita di questo paese. In generale, queste due tesi sono l'atavico dibattito tra eminenti studiosi e glottologi sulla derivazione greca o bizantina delle popolazioni greco-calabre. Da un lato, si ha la teoria dell'arcaicità, secondo cui i primi coloni che occuparono queste zone erano quei greci che nell'VIII/VII sec. a. C. si allontanarono dalla madre patria per sfuggire a situazioni interne politiche, sociali ed economiche poco favorevoli. Una sorta di emigrazione ante litteram, con gli stessi motivi di fondo che oggi muovono flussi di persone verso i Paesi più civilizzati ed industrializzati. Questa tesi troverebbe riscontro nelle dimostrazioni di carattere filologico che il glottologo Rohlfs palesò ritrovando degli elementi arcaici nel grecanico di queste zone. Elementi che apparterrebbero ad una fase linguistica arcaica appunto, riscontrabili nei dialetti greci delle aree laterali ed in quelli insulari (la teoria filologica delle aree laterali dimostra come sia possibile ritrovare proprio nelle zone periferiche rispetto al centro propulsore di una lingua, elementi riconducibili ad una fase linguistica originaria, in quanto la lontananza dal centro assicurava una sorta di immunità dai cambiamenti e dalle modernizzazioni linguistiche. Le parti conservative di una lingua si trovano proprio nelle aree periferiche).
Dall'altro lato, si ritiene invece che la fondazione di questo paese sia ascrivibile all'epoca bizantina: in questo periodo monaci basiliani vennero a praticare vita ascetica ed eremitica nei boschi e nelle montagne calabresi per sfuggire alle persecuzioni iconoclaste in corso nella parte orientale dell'Impero.
Se dunque ad oggi esiste questa dicotomia sull'avvalorare la teoria della continuità o quella bizantina riguardo all'origine di Roccaforte e degli altri paesi grecanici, si può comunque ben sostenere la discendenza dalla stirpe greca.
Prima di ogni altro elemento che riconduca a tale origine c'è la lingua. Il grecanico è una varietà linguistica che purtroppo è scarsamente documentata a livello scritto. Esso si è piuttosto conservato nell'oralità. Esiste, però, una monumentale opera di raccolta effettuata da G. Rossi Taibbi e da G. Caracausi ( “I testi Neogreci di Calabria”, Palermo, 1959) che comprende novelle, favole, proverbi, canti d'amore e di religione in grecanico.
E' una lingua povera, che serviva per la comunicazione quotidiana, in una realtà povera, talmente povera che non aveva nemmeno bisogno di tante parole per designare le cose. L'ambito d'uso è quello della vita pastorale, con tante fatiche e pochi e semplici sentimenti, quelli universali quali l'amore, il sentimento religioso, il dolore.
Oggi il grecanico sopravvive, in maniera spontanea, a Roccaforte solo in qualche parola rimasta nell'immaginario lessicale soprattutto degli anziani, che la miscelano ad un dialetto che ormai non è più grecanico. Per non lasciar andar via questo patrimonio linguistico e culturale si sono attivate, negli ultimi anni, una serie di iniziative volte a ri-diffondere questo idioma e a sensibilizzare la gente del posto sulla conservazione dello stesso.
Progetto senz'altro pretenzioso se si considera che, purtroppo, questo, come la maggior parte dei paesi interni, è interessato da continui movimenti migratori che lo stanno gradualmente svuotando: oggi la popolazione roccafortese consta di 682 abitanti.
Eppure in epoca medioevale Roccaforte fu casato dello Stato di Amendolea, che ebbe un importante ruolo all'interno delle dinamiche commerciali e militari tra l'Impero Bizantino d'oriente e quello d'occidente.
Nel 1624 venne acquistato dai Ruffo di Bagnara e fino all'abolizione del feudalesimo rimase
in mano al  Duca Carlo Ruffo.
E' attestata nei documenti l'esistenza di abbazie bizantine: si ricorda quella dell'Aghia Tradas (Santa Trinità) e quella di San Nicola. Queste abbazie, di cui il circondario grecanico era ricchissimo, erano delle costruzioni occupate da monaci laici che lavoravano i terreni intorno ad esse. Oggi è possibile  ammirare i resti della chiesetta bizantina della famiglia Tripepi, databile intorno alla seconda metà del 1700. Di recente vi è stata rinvenuta una antica riproduzione in forma di statua, probabilmente di legno e rivestita di ornamenti di stoffa, raffigurante la Madonna col Bambino, conservata nella Chiesa dello Spirito Santo.
Ma la storia religiosa di questo paese ha in sé degli aspetti folklorici particolari. Il Santo Patrono di Roccaforte è San Rocco, celebrato il 16 agosto di ogni anno. Esiste una chiesetta di fattura moderna, dedicata al Santo, che sorge nella piazzetta della parte vecchia del paese: all'interno ne è custodita la statua lignea. La festa del Santo non va intesa esclusivamente nella sua dimensione rituale: in essa interagiscono fattori della dinamica sociale, diventa occasione di ritorni al paese, di incontri e saluti fra gente che non si vede da anni, diventa insomma un momento di condivisione collettiva che conferma la forza aggregante dei rituali nei nostri paesini. La processione che percorre le strade del paese si conclude con il rientro della statua del Santo nella sua chiesetta, ma è in questo momento che si palesa il trasporto dei roccafortesi nei confronti di San Rocco, che diventa un unus inter pares, viene calato nella dimensione tutta umana della festa. E la festa nei nostri paesi non è mai scevra dal ballo, dalla danza della tarantella: il Santo viene portato a spalla e a ritmo della tarantella suonata dalla banda musicale che accompagna la processione, viene fatto ballare. I portatori realizzano una coreografia spettacolare chè a guardare la sola statua muoversi sembra davvero si sia umanizzata, sembra essere guidata dal sentimento di festa che anima i fedeli. Questi, a loro volta, accompagnano la danza con un cadenzato battito di mani e sguardi di devozione verso il Santo e di ammirazione e sostegno verso i portatori. E' un'atmosfera coinvolgente, è la celebrazione di un sentimento religioso, più che di un santo, è la dimostrazione dell'autenticità con cui la gente vive l'evento, dell'empatia che instaura con il “suo” Santo.
   
Durante il mese di agosto, il festival itinerante di musica etnica Paleariza, che tocca i diversi  paesini grecanici, fa tappa a Roccaforte o a Ghorio di Roccaforte, frazione distante una decina di Km.
E' possibile raggiungere Roccaforte arrivando a Melito Porto Salvo e proseguendo lungo la strada statale che sale per 33 Km.

Sonia Palamara

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