Stamattina alle ore
09:40, presso la Chiesa Santa
Maria della Pietà di San Luca, è stata officiata dal Vescovo di Locri, Mons.
Giuseppe Morosini, una Santa Messa in memoria del Brig. CC. M.O.V.M[1]. Carmine TRIPODI.
Alla cerimonia hanno
partecipato il generale Comandante della Legione Carabinieri Calabria generale
di Brigata Adelmo Lusi, il comandante Provinciale dei Carabinieri di Reggio
Calabria colonnello lorenzo
Falferi, oltre i carabinieri di Locri. La cerimonia commemorativa prevede il
seguente programma celebrativo:
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ore 09.00:
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deposizione corona di
fiori in località Ponte Cocuzza, luogo dell’eccidio del Sottufficiale;
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ore 09.40:
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celebrazione Santa
Messa;
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ore 11.00:
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deposizione della
corona di fiori presso il monumento intitolato al Brigadiere CC M.O.V.M.
Carmine Tripodi sito in quella omonima piazza;
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Il
Brigadiere Carmine Tripodi, 25 anni, di Castel Ruggero, piccola frazione di
Torre Orsaia (Salerno), ucciso in un agguato mafioso, a colpi di lupara, a San
Luca, il 6 febbraio del 1985, sulla strada provinciale, ad un anno della
sua morte, venne decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria.
“Comandante di Stazione – dice la motivazione
– già distintosi in
precedenti operazioni di servizio contro agguerrite cosche mafiose, conduceva
prolungate, complesse e rischiose indagini che portavano all’arresto di
numerosi temibili associati ad organizzazioni criminose, responsabili di
gravissimi delitti. Fatto segno a colpi di fucile da parte di almeno tre
malviventi, sebbene mortalmente ferito, trovava la forza di reagire al
proditorio agguato riuscendo a colpirne uno, dileguatosi poi con i complici.
Esempio di elette virtù militari e di dedizione al servizio spinto fino al
sacrificio della vita”.
Il
Brigadiere Carmine Tripodi, dal 1982 Comandante della Stazione dei Carabinieri
di San Luca, in quegli anni scuri e violenti, fu impegnato ad arginare l’ondata
dei sequestri di persona sui crinali dell’Aspromonte. Riuscì ad assicurare alla
giustizia i rapitori dell’ingegnere napoletano Carlo De Feo, titolare di
un’avviata industria nel settore delle telecomunicazioni, tenuto prigioniero
per 395 giorni su quelle montagne. Quattro miliardi e quattrocento milioni di
lire fu il riscatto pagato. De Feo, una volta libero, decise di collaborare
alle indagini e, insieme al G.I. di Napoli Palmieri, andò a San Luca. Lì,
Tripodi e i suoi Carabinieri, con l’aiuto dell’ex rapito, riuscirono a
localizzare otto prigioni, tra le impervie alture ed anfratti dello Scapparrone
e dello Zillastro, di Monte Castello, Pietra Longa, Pietra Kappa, monoliti che
giganteggiano sull’Aspromonte orientale.
Verso
le 21.00 del 6 febbraio l’agguato, a San Luca, in una doppia curva. Carmine
Tripodi cadde sotto il piombo dei killers stringendo nella mano destra la sua
pistola d’ordinanza con la quale, in una disperata quanto inutile difesa, sparò
ripetutamente contro i suoi assassini cinque colpi, colpendone uno. Venne
trovato dai suoi Carabinieri, che scendevano verso la vallata del Buonamico,
piegato sul sedile della propria autovettura, mentre impugnava ancora l’arma,
col dito indice sul grilletto.
L’esecuzione
sommaria del Brigadiere Carmine Tripodi rappresentò una sfida allo Stato,
all’Arma. Significò una frattura traumatica di quella “regola” non scritta, ma
bene impressa nel cuore e nella mente di ognuno, che sanciva di “rispettare” i
Carabinieri in quanto avrebbe portato male a tutti e disgrazie alle famiglie
sparare su un rappresentante dell’ordine.
Prima
di Carmine Tripodi, il 1° aprile 1977, a Razzà di Taurianova, sul Campo
dell’Onore, caddero l’Appuntato Stefano Condello ed il Carabiniere Vincenzo
Caruso, a seguito di conflitto a fuoco ingaggiato con mafiosi senza scrupoli
partecipanti ad un summit, interrotto dai Carabinieri. Ed ancora, il 1°
settembre 1951, mentre a Polsi era festa, Angelo Macrì, quello che poi sarà il
“Re dell’Aspromonte”, assassinò davanti a un bar di Delianuova il Maresciallo,
Comandante della Stazione dei Carabinieri, Antonio Sangeniti, 41 anni, di
Petrizzi, che riteneva responsabile della morte del proprio fratello Gianni,
latitante, caduto insieme al suo favoreggiatore Leo Palumbo, il 3 luglio
precedente, in un conflitto a fuoco coi rappresentanti della legge, coi
Carabinieri. Ed ancora più indietro nel tempo, sempre nelle montagne di San
Luca, ai confini con quelle di Africo, il brigante Giuseppe Musolino,
nell’agosto del 1898, uccise a fucilate il Carabiniere Pietro Ritrovato, in servizio
presso la Caserma di Bianco.
L’omicidio
del Brigadiere Tripodi fu organizzato e portato a termine da gruppi criminali
della ‘ndrangheta per dare una dimostrazione del proprio “prestigio” nel
momento in cui il valoroso sottufficiale, elevata espressione dello Stato nel
paese, aveva chiuso con le investigazioni sulle cosche locali ed era già
trasferito a Santa Caterina dello Jonio, dove lo aspettavano per lunedì 11
febbraio.
Altresì,
ci fu il tentativo di intimidire e debellare quel manipolo di investigatori
impegnati a Locri, Magistrati e Carabinieri, che non si erano limitati a
sognare un mondo migliore ma erano andati a cercarlo e sfidarlo, con le proprie
debolezze e le proprie paure, col sentire nel respiro e nel sangue l’ansia
della Giustizia.
Luciana,
21 anni, fidanzata a Carmine, rimase un giorno aggrappata alla bara del giovane
Brigadiere che aveva conosciuto quattro anni prima a Bianco. Il primo ed un
grande amore, le nozze fissate, i mobili acquistati, la casa pronta per essere
vissuta a Santa Caterina dello Jonio. Mancava soltanto il matrimonio che era
stato fissato per il successivo mese di marzo. Al polso continuerà a portare
l’orologio del fidanzato.
Sul
luogo dell’agguato, Luciana fece costruire una lapide con una fotografia. Aveva
scritto lei le parole incise sulla lastra di marmo. I fiori, ad oggi, non
mancarono mai. Quelli di prato, che crescevano sulla vicina collina, mani
ignote li posizionavano davanti alla foto. I Militi, che transitavano per la
strada, lì sostavano per una preghiera e per ripulire la lapide. Erano gli
stessi che per anni lo avevano seguito con entusiasmo, nel pericolo, volando
più in alto delle aquile e mostrandosi più rapidi dei falchi, tra le montagne,
nel cuore dell’Aspromonte, dove, insieme al loro Comandante, avevano sentito il
respiro dell’Eterno.
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