PROVINCE, IL DECRETO CHE LE RIORGANIZZAVA NON
SARÀ CONVERTITO IN LEGGE
11 dicembre 2012
Il decreto che riorganizzava le province
italiane non sarà convertito in legge. È quanto è emerso dalla seduta della
commissione Affari costituzionali che si è tenuta lunedì sera, preceduta da una
riunione ristretta dal presidente di commissione Carlo Vizzini, il ministro per
i Rapporti con il Parlamento Piero Giarda, il ministro della Pubblica
amministrazione Filippo Patroni Griffi e il sottosegretario Antonio Maraschini.
TROPPI EMENDAMENTI – La commissione e governo
hanno preso atto della quantità di emendamenti e subemendamenti presentati al
provvedimento e hanno ritenuto che non fosse possibile approdare in aula
martedì pomeriggio come stabilito dal calendario del Senato. «Il destino di
questi mesi è di perdere occasioni importanti – ha commentato Vizzini – è stato
fatto uno sforzo per trovare le condizioni complessive per approvare questo
provvedimento atteso ma non è andato a buon fine».
PATRONI GRIFFI: «IL GOVERNO HA FATTO QUEL CHE
POTEVA» -«Il governo – ha commentato Patroni Griffi – ha fatto quello che
poteva. Oggi ha preso atto della situazione». A questo punto sarà necessario
probabilmente escogitare una norma che coordini le disposizioni sulle province
previste dal decreto salva Italia e dalla spending review. Ma sulla possibilità
che questa norma sia inserita nella legge di stabilità Patroni Griffi non
risponde: «Probabilmente ci sarà qualche intervento del governo ma ora non so
rispondere».
Fonte: corriere.it
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SI VOTERÀ
COL PORCELLUM. MARIO MONTI PRENDE TEMPO
10 dicembre
2012
Mario Monti si
aspettava la reazione dei mercati e per questo aveva dato la notizia delle
dimissioni al presidente Napolitano a borse chiuse, sabato sera. Timori
fondati, visti gli andamenti negativi e il balzo dello spread. Ma da Oslo, in
conferenza stampa, il premier prende tempo sulla candidatura e cerca di
rassicurare: «Non bisogna drammatizzare le reazioni dei mercati». Piuttosto,
«ricordo che il governo attuale è ancora pienamente in carica, non ha lasciato
e lo rimarrà fino a che non si sarà insediato il nuovo governo». Insomma, il
presidente del Consiglio punta ad approvare la legge di stabilità, nei tempi
necessari. «Tutti i miei sforzi ¬– dice – sono concentrati al completamento del
tempo rimanente al governo attuale, che sembra essere un tempo abbastanza
limitato, che richiede una applicazione intensa di mente e energia da parte mia
e dei colleghi del Consiglio dei ministri». Nessun vuoto, dunque, con il
governo che lavorerà «per l’ordinaria amministrazione anche dopo che il capo
dello Stato avrà deciso lo scioglimento delle Camere, e fino a che passerà le
consegne».
Quanto alla
candidatura, per ora Monti non scioglie le riserve. «Non sto considerando questa
questione. In particolare in questa fase tutti i miei sforzi sono concentrati
nel completamento del tempo rimanente, che sembra limitato ma richiede
applicazione intensa ed energia anche da parte mia», dice.
Parole dietro
le quali c’è chi giurerebbe che tutto si capirà non appena sarà varata la legge
di stabilità. Subito dopo il presidente della Repubblica dovrebbe sciogliere le
Camere per votare, verosimilmente, il 17 o il 24 febbraio (data in cui
potrebbero essere accorpate le regionali, anche del Lazio, se il Tar deciderà
in tal senso).
Per ora si
susseguono le congetture e gli ipotetici scenari. Mentre nel Pdl si consuma lo
psicodramma di quanti sono rimasti spiazzati dal rientro in campo di
Berlusconi, mentre il Cavaliere continua ad accreditarsi come unico
rappresentante possibile del centrodestra e Alfano continua a confermare la
propria responsabilità, nel Pd si respira un’altra aria, ma non senza una certa
tensione. L’annuncio di Monti ha spiazzato anche Bersani, che dice chiaramente
«meglio che Monti resti fuori dalla contesa»». Il segretario del Pd non fa
mistero di vedere bene il Professore al Quirinale. Ma poiché si voterà con il
Porcellum (il presidente della Commissione affari costituzionali del Senato
Vizzini ha definitivamente escluso che si possa modificare la legge
elettorale), ebbene, il sistema potrebbe consegnare al Pd un Parlamento diviso,
come ai tempi di Prodi, con la maggioranza alla Camera e un Senato traballante.
Allora Bersani ha davanti scenari differenti, che dipendono dalle scelte di
Monti.
Per
evitare che Berlusconi sia decisivo a Palazzo Madama, una discesa in campo di
Monti (con il suo nome nella lista dei centristi o con una candidatura vera e
propria) toglierebbe la palla al Pdl per darla all’area centrista. E allora lo
stesso Bersani potrebbe trovare un accordo con Monti a elezioni avvenute. Per
ora, però, il leader del Pd vuole giocarsela tutta, convinto di potercela fare
in entrambi i rami del Parlamento. Quanto all’agenda Monti, il segretario
democratico assicura continuità, ma con alcune modifiche. Quelle che lo stesso
Monti non apprezza, e che potrebbero convincerlo a scendere in campo, per
salvare il proprio lavoro.
Un’ipotesi che
rassicurerebbe anche l’Europa. Come fa capire il presidente farncese Francois
Hollande: «Monti è attivo non so quale ruolo sceglierà ma l’ho visto piuttosto
attivo, tutt’altro che in disarmo».
Fonte:
avvenire.it
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