L’ITALIA SPRECA 12 MILIARDI DI EURO DI CIBO ALL’ANNO, 42 KG A TESTA
12 giugno 2012
Ogni anno in Italia vengono buttati via 12,3 miliardi di euro di cibo, di cui la metà direttamente dai consumatori (6,9 miliardi). Si tratta di 42 kg a persona di avanzi non riutilizzati e alimenti scaduti o andati male, per uno spreco procapite di 117 euro l’anno. Eppure, già oggi quasi 1 miliardo di euro di cibo viene recuperato; l’obiettivo è ora recuperarne altri 6 miliardi, per portare questi alimenti sulla tavola di chi non ne ha a sufficienza. A dirlo è l’indagine “Dar da mangiare agli affamati. Le eccedenze alimentari come opportunità” realizzata da Fondazione per la Sussidiarietà e Politecnico di Milano in collaborazione con Nielsen Italia.
Secondo gli esperti, la ragione principale di tutto questo spreco è “il disallineamento tra domanda e offerta e la non conformità del prodotto a standard di mercato”. Questo è vero soprattutto a livello domestico, anche se nell’insieme “le imprese della filiera generano più eccedenza delle famiglie”. A oggi, gran parte dell’eccedenza alimentare “non viene recuperata per il consumo umano. Solo una piccola parte, poco più del 6%, è donata alle cosiddette ‘banche del cibo’ e ad enti caritativi”. Lo spreco di cibo in Italia è pari a 5,5 milioni di tonnellate/anno, ossia il 92,5% dell’eccedenza e il 16% dei consumi.
Eppure, spiega Alessandro Perego, docente di logistica al Politecnico di Milano e curatore della ricerca, “quasi il 50% delle eccedenze generate nella filiera agroalimentare è recuperabile per l’alimentazione umana con relativa facilità, se lo si vuole realmente fare. Certo, occorre un gioco di squadra in cui tutte le aziende della filiera collaborano, in un contesto normativo che tenda a garantire la qualità senza creare inutile burocrazia”.
“L’indagine – sottolinea Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà – mostra che la collaborazione tra istituzioni, filiera agroalimentare e realtà non profit quale il Banco Alimentare è fondamentale per rispondere al bisogno alimentare di tante persone indigenti. Nessuna crisi e nessuno spreco si vincono con la bacchetta magica o con proclami, ma con un lavoro che richiede collaborazione ed educazione”.
Il recupero degli sprechi alimentari e la collaborazione con le ‘banche del cibo’ sono una questione rilevante per le imprese coinvolte: “Siamo molto sensibili al tema delle eccedenze – dice Manuela Kron, direttore corporate affairs Nestlè In Italia – che per un’azienda alimentare leader come la nostra rappresentano uno spreco per ben tre volte: costano quando vengono create, quando devono essere distrutte e perchè non possono più fare ciò per cui sono nate, ovvero nutrire le persone. Per questo, da anni in Italia collaboriamo strettamente con il Banco Alimentare, partner che ci permette di non sprecare e di far diventare una risorsa preziosa per gli altri le nostre eccedenze, mettendo a disposizione dell’Associazione alimenti di ottima qualità ed edibili ma che per varie ragioni non possono più essere venduti. Auspichiamo che sempre più aziende alimentari scelgano di organizzarsi in questa direzione, partendo dalle linee guida ben disegnate da questa indagine”.
“Se da un lato i risultati ci allarmano, per i volumi di spreco evidenziati – conclude Andrea Giussani, presidente di Fondazione Banco Alimentare Onlus – dall’altro ci rassicurano sulle scelte intraprese e ci stimolano a dare il massimo. Questa ricerca rappresenta anche una finestra sulla realtà per tutti gli attori della filiera agroalimentare, industrie e distributori in primis, e mi auguro li stimoli a considerare sempre più strategico il donare le proprie eccedenze a chi con costanza e continuità quotidianamente combatte la povertà e il disagio sociale attraverso il loro recupero e la redistribuzione”.
fonte:avvenire.it
CROLLANO LE PARTITE IVA, APRILE -25,8%. E’ BOOM SOLO TRA I GIOVANI UNDER 35
11 giugno 2012
Nello scorso mese di aprile sono state aperte 46.337 nuove partite Iva; in confronto al corrispondente mese dello scorso anno si registra una flessione del 3%, mentre, rispetto al mese precedente, il calo è pari al 25,8%. Lo comunica il Dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia.
Il 51,3% delle nuove partite Iva aperte lo scorso aprile è dovuto a giovani fino a 35 anni e tale classe di età è anche l’unica in aumento rispetto al corrispondente mese del 2011: +13,6%. Una crescita legata alle agevolazioni decise nella manovra finanziaria dello scorso luglio. La ripartizione per sesso è stabile, con i maschi cui appartiene il 65% di aperture di partite Iva.
La distribuzione per natura giuridica conferma la netta preponderanza delle persone fisiche nelle aperture di partita Iva (quota del 77%) e, tra le altre forme giuridiche, le società di capitali si attestano al 14,8%. Confrontando tali dati con il corrispondente mese del 2011, si nota – riferisce il Dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia – che sono sempre le persone fisiche a sostenere l’andamento generale, poichè il loro lieve aumento (inferiore al 2%) mitiga il sensibile decremento di aperture relativo alle forme societarie.
Riguardo alla ripartizione territoriale delle aperture, il 42,5% di esse è avvenuto al Nord, il 22,6% al Centro, il 34,9% al Sud ed Isole; il confronto con aprile dello scorso anno mostra flessioni più o meno marcate al Centro-Nord, con alcune eccezioni (Val d’Aosta ed Umbria), mentre al Sud gli aumenti in Puglia e Sicilia riescono a bilanciare il calo delle altre regioni.
La classificazione per settore produttivo evidenzia che il commercio continua a registrare il maggior numero di aperture di partite Iva: il 22,1% del totale, seguito dalle attività professionali con il 14,7%. Nel complesso, al gruppo dei servizi appartiene il 50,5% delle aperture totali, con un calo, rispetto all’aprile 2011, dell’ 1,2%; considerando i macrosettori produttivi, solo quello agricolo mostra un aumento di aperture (+4,5%), mentre l’industria accusa, ancora, la diminuzione maggiore (-8,9%).
Relativamente alle persone fisiche, la ripartizione per sesso è stabile, con i maschi cui appartiene il 65% di aperture di partite Iva. Il 51,3% delle aperture è dovuto a giovani fino a 35 anni e tale classe di età è anche l’unica in aumento rispetto al corrispondente mese del 2011: +13,6%.
Il 51,3% delle nuove partite Iva aperte lo scorso aprile è dovuto a giovani fino a 35 anni e tale classe di età è anche l’unica in aumento rispetto al corrispondente mese del 2011: +13,6%. Una crescita legata alle agevolazioni decise nella manovra finanziaria dello scorso luglio. La ripartizione per sesso è stabile, con i maschi cui appartiene il 65% di aperture di partite Iva.
La distribuzione per natura giuridica conferma la netta preponderanza delle persone fisiche nelle aperture di partita Iva (quota del 77%) e, tra le altre forme giuridiche, le società di capitali si attestano al 14,8%. Confrontando tali dati con il corrispondente mese del 2011, si nota – riferisce il Dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia – che sono sempre le persone fisiche a sostenere l’andamento generale, poichè il loro lieve aumento (inferiore al 2%) mitiga il sensibile decremento di aperture relativo alle forme societarie.
Riguardo alla ripartizione territoriale delle aperture, il 42,5% di esse è avvenuto al Nord, il 22,6% al Centro, il 34,9% al Sud ed Isole; il confronto con aprile dello scorso anno mostra flessioni più o meno marcate al Centro-Nord, con alcune eccezioni (Val d’Aosta ed Umbria), mentre al Sud gli aumenti in Puglia e Sicilia riescono a bilanciare il calo delle altre regioni.
La classificazione per settore produttivo evidenzia che il commercio continua a registrare il maggior numero di aperture di partite Iva: il 22,1% del totale, seguito dalle attività professionali con il 14,7%. Nel complesso, al gruppo dei servizi appartiene il 50,5% delle aperture totali, con un calo, rispetto all’aprile 2011, dell’ 1,2%; considerando i macrosettori produttivi, solo quello agricolo mostra un aumento di aperture (+4,5%), mentre l’industria accusa, ancora, la diminuzione maggiore (-8,9%).
Relativamente alle persone fisiche, la ripartizione per sesso è stabile, con i maschi cui appartiene il 65% di aperture di partite Iva. Il 51,3% delle aperture è dovuto a giovani fino a 35 anni e tale classe di età è anche l’unica in aumento rispetto al corrispondente mese del 2011: +13,6%.
fonte: la repubblica.it
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