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domenica 19 febbraio 2012

ADICO: Le news

Malati di gioco, in Italia è boom. “La dipendenza? Colpa della solitudine”
19 febbraio 2012
Quarantatre uomini italiani su 100 hanno problemi con il gioco d’azzardo. L’Italia è il primo Paese in Europa per denaro giocato in rapporto alla popolazione. “La dipendenza da gioco è una patologia”, spiega in un’intervista ad Affaritaliani.it Lucia Giustina, psicologa e psicoterapeuta del Sert di Parma. “Per questo abbiamo aperto un reparto dedicato solo ai malati di gioco. Il paziente tipo? Uomo, tra i 45 e i 50 anni. Le donne hanno più problemi con giochi come il Lotto e il Gratta e Vinci, gli uomini con slot machine e videopoker. Ma la diffusione del gioco online andrà a toccare anche le fasce più giovani”.
Le cause scatenanti sono spesso crisi e solitudine: “Nei momenti di incertezza economica c’è meno fiducia nello Stato e si cercano vie alternative. Per tanti nasce il problema quando arriva la pensione. Ma alla base c’è anche una predisposizione temperamentale”. Perché i numeri continuano a crescere? “Vanno di pari passo con l’aumento dell’offerta”. Si può guarire? “Dopo tanta sofferenza e tanto tempo. E’ come la dipendenza da alcol e droga”.
L’INTERVISTA
Da quando seguite i malati di gioco e quanti casi avete?
“Il nostro reparto segue i malati di gioco dal 2004. Attualmente abbiamo 45 pazienti in carico”.

Quali sono le caratteristiche del paziente tipo?
“L’età media è attorno ai 45 anni, ma abbiamo un range di pazienti che va dai 30 anni agli 80. Sono pazienti prevalentemente uomini”.
Come mai i malati di gioco sono più uomini che donne?
“Questo è un aspetto molto interessante. Probabilmente anche per un fattore di accettabilità sociale. Le agenzie sportive o altri luoghi di questo tipo sono avvicinati più dagli uomini che dalle donne. Non a caso le pazienti che abbiamo in carico hanno una dipendenza da giochi d’azzardo da tabaccheria come il Gratta e vinci, o il Lotto. Invece il paziente maschio è prevalentemente un giocatore da agenzie ippiche o sale giochi con le slot machines. Le donne frequentano dei contesti di gioco meno connotati e con un accesso più variegato rispetto ai luoghi prettamente da gioco”.
Quali sono le cause scatenanti della dipendenza?
“C’è alla base una predisposizione temperamentale e biologica. Anche tra i nostri pazienti è frequente una familiarità del problema, intesa come la presenza nel nucleo familiare di una dipendenza in senso lato. Per dipendenza non si intende solo quella dal gioco ma anche quella dall’alcol. Molti dei nostri pazienti hanno, o avevano, genitori alcolisti. Altri fattori sono legati a disturbi di personalità. Il gioco viene utilizzato con una funzione di autoregolamentazione emotiva. Diventa una strategia per la soluzione di problemi presenti in altri ambiti della propria vita. E spesso c’è un evento scatenante come causa della dipendenza. Tra i nostri pazienti di età più avanzata, per esempio, questo evento è il pensionamento. Il malato si sente privato del proprio ruolo e cerca un’attività riempitiva. Le cause possono stare nella precarietà lavorativa ma anche in difficoltà relazionali, come divorzi e separazioni. Solitudine e dipendenza dal gioco vanno spesso a braccetto”.
In che cosa sono diversi i giocatori da casinò e quelli da slot machine?
“Noi abbiamo qualche paziente dipendente dal gioco in casinò, anche se sono in numero nettamente minore. In questo caso si sviluppa un aspetto narcisistico e competitivo basato sulla dimostrazione delle proprie capacità e sulla grossa vincita. Il giocatore da slot machine invece non gioca perché pensa di guadagnare tanti soldi, ma è in una dimensione proprio di ritiro sociale dove fa passare il tempo e si aliena totalmente durante il proprio rapporto con la macchina”.
Quanto incide in negativo la diffusione delle macchine nei bar o in altri luoghi di gioco?
“Incide molto, anche perché in questi luoghi viene meno l’aspetto sociale del gioco. I giochi alle slot machine o piuttosto i talgiandini del Gratta e Vinci, sono tutti basati su una grande rapidità. Il tempo che intercorre tra la puntata e l’esito è brevissimo. Questo porta più facilmente alla ripetizione del gioco e all’isolamento, senza avere come nell’occasione di una partita a briscola la possibilità di socializzare. Il gruppo permette anche il contenimento, perché a un certo punto la partita si interrompe. Il fatto che invece il soggetto giochi da solo fa sì che diventi più difficile fermarsi. Vengono meno tutta una serie di protezione sociale. Anche gli stessi Bingo sono strutturati in un modo che viene meno la percezione del tempo che passa, insieme alla dimensione sociale”.
Parliamo di dati. Secondo il Cnr il 42% degli uomini tra i 25 e i 64 anni sono coinvolti nel gioco d’azzardo. Federsed sostiene invece che l’Italia sia il primo Paese in Europa per denaro giocato in rapporto alla popolazione. Come mai questi numeri continuano a salire?
“Nelle fasi di crisi economica c’è sempre un incremento del gioco d’azzardo causato alla sensazione di incertezza. C’è meno fiducia nello Stato e si cercano altre strade per raggiungere una sicurezza economica. Guardando gli introiti negli ultimi anni c’è una diffusione capillare delle possibilità di gioco. Dalle slot machines che nel 2011 hanno incassato 60 milioni di euro alle offerte online. L’aumento delle persone dipendenti da gioco è proporzionale con quello dei luoghi di gioco. In Italia il 2% della popolazione è dipendente dal gioco”.
Avete pazienti dipendenti dal gioco online?
“Nonostante quello online sia un gioco ancora più pericoloso, per il momento ne abbiamo solo tre o quattro”.
Quanto è difficile per un dipendente da gioco ammettere il proprio problema?
“Nella fase di instaurazione della dipendenza c’è un rifiuto ad ammettere il problema non solo ai familiari ma anche a se stessi. All’inizio, c’è ancora un’illusione di controllo. Il problema subentra quando si comincia a spendere sopra le proprie possibilità. La dipendenza patologica dipende non dall’entità della spesa ma dallo scollamento tra quello che una persona spende e quanto vorrebbe spendere. Mano a mano cresce l’impulso a giocare, dettato soprattutto dal desiderio di recuperare le perdite, perché non c’è mai un bilancio positivo. La maggior parte dei pazienti arriva qui quando è già in una profonda situazione debitoria. Un giocatore se non avesse debiti o conseguenze finanziarie non smetterebbe mai di giocare. La svolta c’è quando arriva la pressione dei familiari, per esempio quando si vede che non si riescono più a pagare le bollette per i debiti di gioco”.
In che modo si può guarire?
“I tempi sono lunghi. Per guarire ci si mette un anno e mezzo due anni. All’inizio sono molto frequenti le ricadute. Come succede per le dipendenze da alcol o stupefacenti, i malati di gioco quando arrivano da noi vivono una forte ansia e senza gioco si sentono in astinenza. E’ necessario che il controllo finanziario sia almeno in principio nelle mani di un familiare. Nel frattempo noi facciamo un percorso di terapia individuale e di gruppo. Spesso vengono coinvolte anche le famiglie, perché il gioco causa il disgregarsi dei rapporti familiari. Laddove subentra la depressione si valuta anche una terapia farmacologica”.
Ci sarebbe bisogno di una legge sul gioco d’azzardo in Italia?
“Lo Stato dovrebbe stanziare dei fondi o pensare a misure per la prevenzione, che a tutt’oggi non esistono. Sarebbe fondamentale soprattutto per la fascia giovanile far sì che ci sia un approccio più consapevole rispetto al gioco d’azzardo. Al momento invece non c’è alcun finanziamento per le comunità terapeutiche. Purtroppo il problema dei malati di gioco è riconosciuto solo a livello sanitario e non da quello politico o statale”.

di Lorenzo Lamperti
fonte: affaritaliani.it

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