Come stanno le Regioni italiane previste dalla Carta costituzionale nel 1948
ma istituite nel 1970, nel clima di generale disorientamento in cui
versano le Istituzioni nazionali e con le gravi difficoltà economiche ed
identitarie del sistema delle autonomie locali?
Il costituzionalista Antonino Spadaro offre delle originali chiavi di
lettura in un’intervista concessa a “Calabria on web”, il magazine del
Consiglio regionale della Calabria (www.calabriaonweb.it):
“Si, le Regioni non godono di buona
salute – argomenta Spadaro, docente all’Università Mediterranea di Reggio Calabria - ma in verità non godono di buona salute anche gli altri enti locali e lo
stesso Stato. La verità è che l’intero sistema Italia, soprattutto negli ultimi
vent’anni, è stato soggetto a forte stress,
per varie ragioni: la progressiva erosione dell’etica pubblica costituzionale del 1948, che aveva posto le
condizioni politico-istituzionali per il riscatto del nostro Paese e aveva reso
possibile il boom economico del
dopoguerra; il venir meno dei vecchi ma nobili partiti con la loro carica
ideale e l’affermarsi invece di forze politiche personalistiche; la crescente
diffusione di una cultura consumistica, individualistico-privatistica, con una
deresponsabilizzante e cieca fiducia nelle mere forze del mercato, con connessa
sottovalutazione del ruolo dei servizi e degli interventi pubblici; la
corruzione e il malcostume crescenti; infine, la crisi economica globale, ecc.
Insomma, la questione è ben più complessa e generale, anche se va riconosciuto
che purtroppo, di solito, le Regioni non hanno costituito – come pure si
sperava – un esempio di virtù rispetto alle altre istituzioni. È vero, semmai,
che alcune delle problematiche prima accennate nelle Regioni – soprattutto in
alcune Regioni – hanno assunto tratti ancora più esasperati e drammatici. Più precisamente, vista la ricchezza e
diversità delle esperienze regionali del nostro Paese, la crisi del
regionalismo italiano è una crisi a due facce: per un verso una crisi per
l’inefficienza e per gli sprechi connessi all’istituzione regionale; per
l’altro, è anche una crisi di crescita: per ciò che le Regioni, almeno alcune
Regioni, avrebbero potuto fare ancor meglio se avessero avuto maggiore
autonomia, autonomia che è venuta tardi, con le novelle costituzionali del 1999
e del 2001 (in quest’ultima, del resto, l’art. 116, u.c. del Titolo V
riformato, prevede anche un regionalismo progressivo). In ogni caso – dopo
quarant’anni dall’istituzione delle
Regioni – si può ben dire che la crisi del regionalismo è legata alle cattive
prassi adottate, al malcostume politico-ammnistrativo, non all’idea in sé
dell’autogoverno regionale, che resta un’intuizione feconda dei nostri Padri
costituenti”. Il costituzionalista segnala la necessità di una
“ridefinizione dell’architettura istituzionale del Paese” ed a proposito
dell’ipotesi di una seconda Camera delle Regioni, che del resto esiste in tutti
i sistemi federali o cripto-federali ritiene più opportuna la nascita di una Camera delle
Regioni e degli Enti locali: “L’attuale conferenza Stato-Regioni-Enti locali,
pur funzionando da camera di compensazione/mediazione fra i diversi enti
territoriali, non riesce a soddisfare in
toto quest’esigenza. Ma ovviamente
sarebbe illusorio pensare che, senza una riforma complessiva delle istituzioni
repubblicane, un seconda Camera delle Regioni risolva tutti i problemi”. Al
pari con altri costituzionalisti Spadaro non muove censure all’elezione diretta
del Presidente della Regione. A tal proposito,
a Romano Pitaro che lo intervista risponde: “L’elezione diretta del
Presidente delle Regioni è stata senz’altro
una riforma positiva nel nostro sistema politico-giuridico, che certo può –
anzi deve esser perfezionata – ma
dalla quale non penso si possa tornare indietro”.
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