Falcone: così si svilisce il significato profondo
delle aree protette, mentre la prossima riforma della legge 394 assegna un
nuovo protagonismo agli enti locali
Sulla
vicenda della nomina del nuovo presidente del Parco nazionale d’Aspromonte si
sta assistendo da tempo ad una polemica lacerante, dai toni e contenuti aspri,
spesso scaduta ad ignobili livelli personali. Non è la prima volta, purtroppo,
che la politica si esprime solo in termini di lottizzazione dei ruoli di
“potere” all’interno delle istituzioni e arriva a livelli così bassi di scontro
sulla nomina di un presidente. Tutto ciò con il rischio di svilire l’idea
stessa del parco, accomunandola più ai giochi e agli interessi della politica
che alle grandi e reali opportunità per il territorio e le comunità che esso
offre. Così l’idea stessa di Parco può diventare negativa e ingombrante non
solo per i suoi abitanti, ma anche per chi sostiene il ruolo delle aree protette
e persino per gli amministratori locali. Infatti, anche i sindaci della
Comunità del Parco hanno contestato il criterio a loro dire “verticistico e di
lottizzazione politica” che sarebbe alla base dei nominativi proposti per la presidenza.
“Anche
da parte nostra – dichiara Francesco Falcone, presidente di Legambiente
Calabria – è giunto il momento di dire basta e di chiedere che la designazione
delle nomine nell’Ente Parco non diventi paradossalmente un momento di scontro
ai danni dell'idea stessa di parco, con tutte le motivazioni spesso meschine
che si nascondono dietro sbandierati criteri e proclami. Ribadiamo, dunque, che
la scelta non deve essere assoggettata a lottizzazioni partitiche ma deve avere
elementi di oggettività”.
Un
Parco, la cui genesi, come molti ricordano, non è stata certo facile - e ha
richiesto lungo tempo e grande impegno non solo da parte di Legambiente, ma di
tutte le associazioni ambientaliste presenti sul territorio aspromontano, che
riunite in un coordinamento ne definirono di fatto l’assetto e la
perimetrazione originaria -, ha l’esigenza, come e più di altri parchi, di
assumere un metodo per la designazione delle nomine che faccia dell’ascolto e
della concertazione gli strumenti per arrivare ad una necessaria condivisione
dal basso della candidatura alla presidenza. Solo così si potrà arrivare ad una
scelta democratica e condivisa.
La
moralità, ovviamente, tra i requisiti che devono delineare il profilo del presidente
del Parco è una necessaria precondizione. Le opportune competenze in campo
ambientale, la capacità di prefigurare e perseguire un progetto complesso ed
efficace per la valorizzazione del Parco, anche in termini d’innovazione e di
ricerca da una parte e di allargamento del consenso all’idea di parco dall’altra,
la “riconoscibilità” da parte sia del territorio che delle forze che in questi
anni hanno sostenuto l’idea del Parco, e, ora più che mai, la prerogativa di
essere persona al di sopra delle parti e che abbia dato prova di condividere e
sostenere una corretta politica delle aree protette che ne affermi il futuro
attraverso una loro piena valorizzazione, riteniamo siano alcuni dei requisiti
indispensabili.
“Ma
in più, in un momento di passaggio verso una riforma della Legge 394 sulle Aree
protette, che come noi crediamo dovrà portare ad un ruolo di maggiore potere e
protagonismo da parte degli enti locali e delle categorie che vivono ed operano
nei parchi, coltivatori, allevatori, produttori, operatori del turismo, etc.,
il futuro presidente – aggiunge Falcone – dovrà avere la capacità non solo di
mediare interessi ed istanze diverse, ma di coagulare intorno a sé le forze
vive del parco in un progetto di sviluppo credibile e ecocompatibile”.
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