La procura di Trani ci prova di nuovo. Dopo l’inchiesta sui prodotti finanziari di Banca 121, poi assorbita dal Monte dei Paschi di Siena, in cui fu indagato e poi prosciolto l’ex governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, sotto la lente di ingrandimento del magistrato Antonio Savasta, finisce ora la vice direttore generale del palazzo di via Nazionale a Roma, Anna Maria Giuseppina Tarantola. Con lei, altri 7 ispettori della Banca d’Italia, tra cui Simonetta Iannotti e il capo Stefano Mieli, coinvolti nell’indagine che ha portato al sequestro dei prodotti finanziari “tossici” messi sul mercato dal Banco di Napoli, oggi nel gruppo Intesa San Paolo, e in un solo caso dal Monte dei Paschi di Siena. “La Banca d’Italia ha svolto gli approfondimenti del caso – trapela dall’istituto centrale – fornendone puntuale informativa all’autorità giudiziaria e alla Consob, sull’operativà dei derivati di tipo ‘swap’ oggetto dell’indagine della Procura di Trani commercializzati dalle banche alle imprese”. Da Via Nazionale “si esprime così la massima fiducia nell’operato della Magistratura e si confida che essa accerterà la piena insussistenza degli addebiti ipotizzati a carico di propri esponenti e dipendenti. L’azione della vigilanza, si rileva, è sempre improntata all’esclusivo perseguimento delle finalità istituzionali, nel pieno rispetto della legge”.
Si tratta dell’altro filone dell’inchiesta che vede 61 funzionari indagati a vario titolo per truffa aggravata ed estorsione. Il riserbo degli inquirenti è strettissimo, la notizia è trapelata da ambienti di Procura e non viene smentita. Secondo quanto si apprende dai verbali, gli ispettori di Bankitalia, nonostante sapessero dei rischi che derivavano dalla commercializzazione dei derivati del tipo “swaps”, avrebbero favorito la loro vendita non segnalando all’autorità competente, la Consob, fatti rilevanti per la loro inibizione o sospensione. Le ispezioni all’esame degli investigatori sono quelle relative agli anni 2006 e 2008 e nell’atto conclusivo la stessa Tarantola, nella sua qualità di direttore centrale per la vigilanza creditizia e finanziaria, scrive: “Questo istituto non ha ravvisato, per i profili di competenza, aspetti di rilievo sanzionatorio amministrativo”. Così facendo, si deduce, gli organi ispettivi non avrebbero impedito l’aggravarsi dei danni che tale attività ha arrecato alla clientela. A riceverne vantaggi, invece, sarebbe stato il Banco di Napoli, del gruppo Intesa San Paolo, alla cui testa, fino allo scorso mese di novembre, c’era l’attuale ministro per lo sviluppo economico, Corrado Passera. La commercializzazione dei derivati, a detta degli investigatori della guardia di finanza e dello stesso capo della procura di Trani Carlo Maria Capristo, in alcuni casi avrebbe gettato sul lastrico gli imprenditori del nord barese convinti di aver sottoscritto contratti di assicurazioni non speculativi.
I contratti sotto accusa sono quelli del tipo “interest rate swap”, tra i più moderni strumenti di finanziamento delle imprese, che così si impegnano a pagare un tasso fisso, ricevendo in cambio un tasso variabile, pagando o incassando la differenza. Tutto questo non accadeva, secondo la guardia di finanza, perché la ventilata copertura dell’eventuale rischio rialzo dei tassi di interesse si rivelava un autentico raggiro e il cliente pagava molto di più rispetto a quanto non incassato dallo scambio. Tra le vittime ci sono aziende agroalimentari, farmacie, calzaturifici, sale ricevimenti, imprese di costruzioni, anche le Terme di Margherita di Savoia e la società di informatica Exprivia di Molfetta, quotata in Borsa. Nei casi più gravi le banche avrebbero eseguito transazioni con i loro clienti.
Si tratta dell’altro filone dell’inchiesta che vede 61 funzionari indagati a vario titolo per truffa aggravata ed estorsione. Il riserbo degli inquirenti è strettissimo, la notizia è trapelata da ambienti di Procura e non viene smentita. Secondo quanto si apprende dai verbali, gli ispettori di Bankitalia, nonostante sapessero dei rischi che derivavano dalla commercializzazione dei derivati del tipo “swaps”, avrebbero favorito la loro vendita non segnalando all’autorità competente, la Consob, fatti rilevanti per la loro inibizione o sospensione. Le ispezioni all’esame degli investigatori sono quelle relative agli anni 2006 e 2008 e nell’atto conclusivo la stessa Tarantola, nella sua qualità di direttore centrale per la vigilanza creditizia e finanziaria, scrive: “Questo istituto non ha ravvisato, per i profili di competenza, aspetti di rilievo sanzionatorio amministrativo”. Così facendo, si deduce, gli organi ispettivi non avrebbero impedito l’aggravarsi dei danni che tale attività ha arrecato alla clientela. A riceverne vantaggi, invece, sarebbe stato il Banco di Napoli, del gruppo Intesa San Paolo, alla cui testa, fino allo scorso mese di novembre, c’era l’attuale ministro per lo sviluppo economico, Corrado Passera. La commercializzazione dei derivati, a detta degli investigatori della guardia di finanza e dello stesso capo della procura di Trani Carlo Maria Capristo, in alcuni casi avrebbe gettato sul lastrico gli imprenditori del nord barese convinti di aver sottoscritto contratti di assicurazioni non speculativi.
I contratti sotto accusa sono quelli del tipo “interest rate swap”, tra i più moderni strumenti di finanziamento delle imprese, che così si impegnano a pagare un tasso fisso, ricevendo in cambio un tasso variabile, pagando o incassando la differenza. Tutto questo non accadeva, secondo la guardia di finanza, perché la ventilata copertura dell’eventuale rischio rialzo dei tassi di interesse si rivelava un autentico raggiro e il cliente pagava molto di più rispetto a quanto non incassato dallo scambio. Tra le vittime ci sono aziende agroalimentari, farmacie, calzaturifici, sale ricevimenti, imprese di costruzioni, anche le Terme di Margherita di Savoia e la società di informatica Exprivia di Molfetta, quotata in Borsa. Nei casi più gravi le banche avrebbero eseguito transazioni con i loro clienti.
di GIOVANNI DI BENEDETTO
fonte: repubblica.it
fonte: repubblica.it
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