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sabato 10 settembre 2011

PROVINCIA RC - La provocazione del Presidente del Consiglio Eroi: LE PROVINCE? CHIUDIAMOLE PER UN MESE, ALMENO I CITTADINI SI RENDERANNO CONTO SE SONO VERAMENTE INUTILI...

Sono quasi diecimila le email partite dal suo indirizzo di posta elettronica istituzionale. Oltre trecento i fax e le lettere spedite in tutta Italia. Di abolizione delle Province non ne vuole sentire proprio parlare. Di chi si tratta? È Antonio Eroi, Presidente del Consiglio Provinciale di Reggio Calabria. Vive nella città dello Stretto che è una tra le future nuove Città Metropolitane che andranno comunque ad essere istituite sia con o senza il DDL Costituzionale di recente approvato dal Governo e, pur essendo giovanissimo, da quasi vent'anni è impegnato in politica. Alla sua seconda esperienza come Consigliere Provinciale, eletto tra le fila del PDL fa parte dell'attuale maggioranza guidata dal Presidente Raffa. "La mia non è una presa di posizione politica frutto di un istinto auto conservativo o motivata dalla semplice delusione per le scelte adottate dal Governo. - sottolinea il Presidente Eroi - Parimenti non voglio che questa mia iniziativa venga intesa come il tentativo di uno che vuol difendere la "casta", termine ormai tanto di moda... Nulla di tutto questo. Anzi il contrario. Il mio è un atto di coscienza. La Provincia dove esercito il ruolo di Presidente del Consiglio – dichiara Eroi - è comunque destinata a lasciare il posto a quella che sarà la futura Città Metropolitana. È già tutto previsto. A maggior ragione ritengo di poter essere libero e incondizionato nell'affermare che non credo affatto che l'abolizione di tutte le Province italiane rappresenti una benché minima soluzione ai problemi economici del Paese.
Il passaggio al Senato della Manovra ha già di fatto ridotto nel numero i consiglieri e gli assessori provinciali. In una Provincia con meno di settecentomila abitanti, come nel caso di Reggio Calabria, saranno 12 i consiglieri e 4 gli assessori. Cosa è stato risolto? È come aver licenziato dodici addetti part time da una azienda con mille dipendenti per evitarne il fallimento. Prima che sia troppo tardi, sono convinto che le Province dovranno pur far sentire la loro voce. Giorno 15 settembre ci ritroveremo tutti a Roma per iniziativa dell'UPI. Speriamo non si tratti di una sterile passerella. Si dovrà pur fare qualcosa di serio e urgente per evitare che il Parlamento compia questo errore. D'altronde l'ho pure scritto con forza a tutti i Presidenti di Provincia, a tutti i Presidenti dei Consigli Provinciali, a tutti i colleghi Consiglieri, alla Deputazione intera ed anche all'Unione Provincie Italiane.
Ho sempre avuto rispetto delle istituzioni, ma negli ultimi anni ho assistito alla graduale distruzione delle rappresentanze democratiche dei cittadini. - così inizia la lettera - Le scelte dei governi nazionali hanno puntato a rafforzare solo l'esecutivo, esautorando di fatto il parlamento che nel suo bicameralismo perfetto ha legiferato poco e male, quasi esclusivamente per convertire decreti legge con continui voti di fiducia. I servizi offerti ai nostri cittadini sono andati sempre più diminuendo a causa dei tagli selvaggi che hanno colpito gli enti locali, che nel tempo sono stati privati anche dei propri tributi (vedi abolizione ICI) provocando una sensibile diminuzione dei gettiti di entrata e una conseguente mancanza di liquidità di cassa. La riduzione dei consiglieri comunali e provinciali, degli assessori e l'eliminazione delle circoscrizioni di decentramento comunale non hanno portato alcun risparmio, se così fosse a distanza di pochi mesi non ci sarebbe stato il dibattito sull'abolizione dei piccoli comuni e delle province.
Qual'è l'esigenza dunque di procedere ostinatamente ed in maniera affrettata verso questa direzione? Serve forse per distrarre italiani e comunità europea dai reali problemi del paese?
Ho inoltre la netta sensazione che anche l'UPI non voglia andare seriamente ad un confronto con chi oggi vuole fare semplice propaganda, - si legge sempre nella lettera - con chi allestisce banchetti per raccolta firme perché non ha argomenti economici e sociali da trattare. Il risparmio sperato per il pareggio di bilancio non lo porterà certamente l'eliminazione delle province, perché Il solo impegno militare in Libia di sei mesi (1.700.000.000,00 €) costa quanto 5 anni di legislatura delle province italiane. Spendiamo tantissimo in missioni militari per esportare agli altri paesi la "nostra democrazia", ma le nostre elezioni sono sempre meno partecipate dagli elettori che hanno perso la fiducia in rappresentanti lontani e soprattutto in parlamentari nominati (non votati come noi). Per la risoluzione definitiva e per il nuovo assetto degli enti locali sarebbe a questo punto necessario da parte del governo cooptare un piccolo "rais" per ogni provincia, e un "wali" per ogni comune, lasciando intatti i livelli occupazionali e la funzionalità degli uffici.
Si risparmierebbe in costi di elezioni e una volta ogni cinque anni chi vince le elezioni politiche governa tranquillo con province e comuni tutti dalla propria parte. Peccato però per le Regioni che sono stati nello stato come il Vaticano e San Marino. Stranezze dell'Italia che nel 150° anno di "unità" ha 22 piccoli stati nello stato.
Oppure qualora neanche questa soluzione fosse perseguibile e nessuno ci ascoltasse su questa vera rivoluzione democratica, propongo ai Presidenti delle Province con le "P" MAIUSCOLE, di chiudere per un mese tutti gli uffici provinciali e mandare politici, utenti e impiegati a casa.
In questo modo soltanto riusciremmo a capire se veramente le province sono enti inutili. Ma faremmo capire soprattutto a certi personaggi e certa stampa, che la democrazia non è solo la libertà di scrivere ciò che si vuole con i finanziamenti dello stato, ma anche quella di scegliere i propri rappresentanti istituzionali sia negli enti locali che nelle aule parlamentari.
Spero che questa mia presa di posizione sia accettato e non criticato dai colleghi o dall'opinione pubblica perché solo con un'azione forte e unitaria potremo uscire da questa operazione demagogica che non serve certamente al bene del nostro paese.

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