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lunedì 28 maggio 2012

REGGIO CALABRIA: IL PRESIDENTE DELLA PROVINCIA GUSEPPE RAFFA INTERVIENE SULL'ALLARME DEI VESCOVI CALABRESI


“L’allarme dei vescovi sulla grave situazione sociale ed economica della Calabria  ha provocato numerose e univoche reazioni  rispetto allo stato  salute della nostra regione. Dire che la Calabria sta morendo, però, non  basta per aiutare un corpo sociale dalle difese immunitarie sempre più fragili.  Nessuno può addebitare agli altri la responsabilità di una situazione che lascia poco spazio alla speranza di un domani diverso, soprattutto per le giovani generazioni. Le colpe storiche  vanno condivise, così come gli obblighi sono un fardello di cui tutti dobbiamo sopportarne il peso: dalla politica all’amministrazione pubblica, dai sindacati alle forze imprenditoriali, dal mondo delle professioni alla società civile.  Dividersi ancora sul futuro non solo è un comportamento da irresponsabili, ma anche da creduloni. L’individualismo è uno dei peggiori mali delle società postmoderne. E diventa letale in ambienti come la Calabria: regione  fragile dal  punto  di vista economico per via  delle ataviche arretratezze infrastrutturali   e, in prevalenza,  disgregata anche a causa degli effetti perversi del clientelismo e dall’assistenzialismo.  Le difficoltà della nostra terra, nelle scorse settimane, sono  state illustrate con lucidità dall’Arcivescovo di Cosenza, padre Salvatore Nunnari, nei  cui confronti  la politica ha fatto a gara per riconoscere  una verità incontrovertibile per poi tornare ai distinguo e alla litigiosità di sempre.  Il nuovo messaggio dei membri la Conferenza Episcopale Calabrese, presieduta dal Metropolita di Reggio Calabria, mons. Vittorio Mondello, con il quale siamo in continuo contatto,  è un vero e proprio grido d’allarme che non può non essere ascoltato sia a livello regionale che nazionale.  Il radicamento della Chiesa calabrese sul territorio è una fonte attendibile dell’aiuto che la gente  chiede alla politica,  che appare sempre  più lontana dai suoi quotidiani bisogni.  E’ dal 1948 che i vescovi italiani  chiedono concreti interventi sulla questione Meridionale, di cui la Calabria rappresentava e rappresenta la parte  più  malata. In questa battaglia, la Chiesa bruzia, iniziando da mons. Antonio Lanza, è stata la grande protagonista delle domande di giustizia sociale  provenienti dal territorio. Con la Chiesa - al pari delle altre forze sociali che operano sul territorio - l’Amministrazione provinciale ha avviato la stagione dell’ascolto.  E il rapporto con il vescovo di Locri, mons. Giuseppe Fiorini Morosini,  si è dimostrato proficuo nel lavoro per il varo del bilancio dell’Ente che presiedo.   Da questo metodo sono emerse situazioni di disagio sociale e strutturale poco conosciute  e che, nel limite delle risorse finanziarie a nostra disposizione, faremo di tutto per affrontare.  Quello che manca oggi alla politica e all’amministrazione è la sinergia, il rapporto con il territorio: ruolo che la Chiesa riesce a svolgere molto bene.  Duro e condivisibile, poi, il giudizio sui tagli operati in nome del risanamento dei conti pubblici che mettono in dubbio  comparti come la sanità  pubblica, l’amministrazione della giustizia,  l’occupazione, i trasporti, l’economia e i servizi primari. Colpisce anche il passaggio sull’aumento dei casi in cui intere famiglie non riescono a mettere assieme il pranzo e la cena. Di fronte a queste nuove povertà non significa prendere ai ricchi per donare ai poveri, quanto, piuttosto, impedire al capitalismo finanziario e alle élite economiche di salvaguardare i loro interessi pretendendo aiuti dello Stato a danno delle classi meno abbienti.  Le ultime decisioni governative non solo non aiutano la Calabria, ma la fanno sprofondare sempre più in basso. E’ giusto rivendicare analogo trattamento riservato a quelle che sono definite “regioni virtuose”, ma appare altrettanto giusto che noi calabresi diventiamo gli artefici di un  nuovo protagonismo in cui  dovrà scomparire la Babele  di un passato che, come una pesante zavorra, frena il cammino dello sviluppo sociale, economico e culturale.  L’alternativa della Calabria è una sola: il cambiamento. Che diventa la condizione sine qua non  per eliminare l’isolamento della nostra terra rispetto ad altre regioni del Paese”. 

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