30 marzo 2012
L’industria di armamenti non conosce crisi. È l’amara constatazione che emerge dall’ultimo rapporto del Sipri (Stockholm international peace research institute), pubblicato lo scorso 19 marzo. I trasferimenti mondiali di armi continuano a crescere a doppia cifra: più 24% nel periodo 2007-2011 rispetto al quinquennio 2002-2006. La regione Asia-Oceania rappresenta ormai il 44% delle importazioni mondiali di armamenti, mentre i primi esportatori sono gli Stati Uniti (30%).
Il maggior cliente dei “mercanti di morte” si conferma l’India, che vale da sola il 10% delle importazioni mondiali. Crescono le spese militari del gigante asiatico: nel 2012-2013 aumenteranno del 17%, per raggiungere quota 40 miliardi di dollari, il doppio circa di quanto investa l’Italia. Delhi sta diversificando le fonti di approvvigionamento e sviluppando un’industria nazionale.
È sempre più esigente in materia di compensazioni industriali. Mosca è sua fonte privilegiata, con forniture di aerei ed elicotteri (Mig-29, Su-30), di carri pesanti (T-90, T-72), di sommergibili e altri materiali. I due Paesi cooperano anche nello sviluppo dell’aereo furtivo T-50 Pak-Fa e sul futuro aereo da trasporto multiruolo Mta. Ma da qualche anno l’India si sta rivolgendo sempre più spesso ai Paesi occidentali: ha acquistato dalla Francia caccia Mirage e Rafale, missili Mica e sottomarini Scorpène, ma non sono mancati materiali militari provenienti dalla Gran Bretagna (Sepecat Jaguar, Sea Harrier e Hawk) e dall’Italia.
Fortissima è la collaborazione con Israele nel campo dei droni, dei sistemi antimissilistici e dei radar. Ancora più a ovest, sono gli Stati Uniti la nuova frontiera del procurement indiano. Nel 2008, sono stati comprati a Lockheed Martin 6 velivoli da trasporto tattico C-130J e un anno dopo 6 aerei da sorveglianza marittima Boeing P8 Poseidon. Ma è l’anno scorso che è arrivata la commessa principale: più di quattro miliardi di dollari per 10 cargo C-17 Globemaster, capaci ciascuno di trasportare 102 paracadutisti.
Due ragioni spiegano i dati indiani: innanzitutto l’evoluzione del bilancio della difesa cinese, in crescita dell’11,2% nel 2012. I due Paesi spartiscono una frontiera comune di 2mila chilometri e hanno diversi contenziosi territoriali, uno dei quali legato al fiume Brahmaputra. L’altro motivo è legato all’ostilità ricorrente fra India e Pakistan, con la disputa sul Kashmir che data ormai dal 1947. Lo stato maggiore indiano ha elaborato una strategia del “duplice fronte”, che prevede di disporre delle capacità necessarie a condurre offensive multiple nel nord dell’Himalaya sia contro il Pakistan, sia contro la Cina. Gli acquisti d’armi vanno in questa direzione, come lo sviluppo del deterrente nucleare, dei missili balistici e di una flotta sottomarina strategica.
Il maggior cliente dei “mercanti di morte” si conferma l’India, che vale da sola il 10% delle importazioni mondiali. Crescono le spese militari del gigante asiatico: nel 2012-2013 aumenteranno del 17%, per raggiungere quota 40 miliardi di dollari, il doppio circa di quanto investa l’Italia. Delhi sta diversificando le fonti di approvvigionamento e sviluppando un’industria nazionale.
È sempre più esigente in materia di compensazioni industriali. Mosca è sua fonte privilegiata, con forniture di aerei ed elicotteri (Mig-29, Su-30), di carri pesanti (T-90, T-72), di sommergibili e altri materiali. I due Paesi cooperano anche nello sviluppo dell’aereo furtivo T-50 Pak-Fa e sul futuro aereo da trasporto multiruolo Mta. Ma da qualche anno l’India si sta rivolgendo sempre più spesso ai Paesi occidentali: ha acquistato dalla Francia caccia Mirage e Rafale, missili Mica e sottomarini Scorpène, ma non sono mancati materiali militari provenienti dalla Gran Bretagna (Sepecat Jaguar, Sea Harrier e Hawk) e dall’Italia.
Fortissima è la collaborazione con Israele nel campo dei droni, dei sistemi antimissilistici e dei radar. Ancora più a ovest, sono gli Stati Uniti la nuova frontiera del procurement indiano. Nel 2008, sono stati comprati a Lockheed Martin 6 velivoli da trasporto tattico C-130J e un anno dopo 6 aerei da sorveglianza marittima Boeing P8 Poseidon. Ma è l’anno scorso che è arrivata la commessa principale: più di quattro miliardi di dollari per 10 cargo C-17 Globemaster, capaci ciascuno di trasportare 102 paracadutisti.
Due ragioni spiegano i dati indiani: innanzitutto l’evoluzione del bilancio della difesa cinese, in crescita dell’11,2% nel 2012. I due Paesi spartiscono una frontiera comune di 2mila chilometri e hanno diversi contenziosi territoriali, uno dei quali legato al fiume Brahmaputra. L’altro motivo è legato all’ostilità ricorrente fra India e Pakistan, con la disputa sul Kashmir che data ormai dal 1947. Lo stato maggiore indiano ha elaborato una strategia del “duplice fronte”, che prevede di disporre delle capacità necessarie a condurre offensive multiple nel nord dell’Himalaya sia contro il Pakistan, sia contro la Cina. Gli acquisti d’armi vanno in questa direzione, come lo sviluppo del deterrente nucleare, dei missili balistici e di una flotta sottomarina strategica.
Per l’Istituto internazionale di studi strategici (Iiss), le spese militari asiatiche supereranno nel 2012 quelle dei Paesi europei: parliamo di oltre 180 miliardi di euro e non è un caso che tutti i maggiori importatori mondiali di armi siano asiatici. Dopo l’India, spiccano la Corea del Sud (6%), il Pakistan (5%), la Cina (5%) e Singapore (4%), la città-Stato che consacra alla difesa il 5% della sua ricchezza nazionale, uno dei tassi principali al mondo. L’aeronautica singaporegna allinea ben 422 aeromobili, fra cui 143 caccia F-15 (24) ed F-16 Block 52 (74). Si addestra negli Stati Uniti, in Australia e in Francia e riceverà dall’Italia 12 velivoli avanzatissimi: gli M-346 Master di Alenia-Aermacchi.
Fra le principali tendenze registrate dal Sipri, si segnalano le importazioni militari della Grecia, crollate del 18% dal 2002 ad oggi. Atene non è più il quarto importatore di armi convenzionali, ma il decimo. Colpa della crisi finanziaria che erode i bilanci della difesa pan-europei. Nei 16 Paesi membri della Nato si sono registrati cali superiori al 10% (2008-2010), ricorda l’analista John Chipman. È una tendenza destinata a peggiorare: le forze armate britanniche perderanno l’8% delle risorse nel prossimo quadriennio. La Germania seguirà, professionalizzando una Bundeswher dal formato ridotto. L’Italia ha già dovuto ridurre acquisti e uomini. Peggio ancora è andata a Belgio e a Paesi Bassi, ove la mannaia ha causato perdite irreversibili di capacità militari.
Se qualcuno risparmia (ed è difficile lamentarsene), altri spendono e spandono, anche se la loro economia nazionale non se la passa certo meglio; e così facendo sottraggono risorse a servizi ben più vicini ai cittadini. Nelle Americhe è il Venezuela di Chavez a distinguersi per la crescita delle importazioni belliche: più 555% dal 2002 ad oggi. Caracas ha ordinato alla Russia qualcosa come 6 miliardi di dollari di materiali militari, fra caccia, carri T-72, lanciarazzi multipli Smerch, elicotteri Mi-17 e sistemi di difesa aerea S-300. Il Nordafrica non è stato a guardare, con un incremento del 273% nell’import di armamenti. Il solo Marocco è cresciuto del 443%.
Una cosa è certa: se i Paesi asiatici primeggiano per spese militari, sono gli industriali dell’armamento statunitensi ed europei a beneficiarne. Secondo una recente classifica del Sipri, delle prime 100 aziende legate al settore della difesa solo 12 sono asiatiche e per gran parte fabbricano equipaggiamenti acquisiti su licenza dai rispettivi governi. Nel 2010, i grandi dell’armamento mondiale hanno fatto affari per 411,1 miliardi di dollari e le loro vendite sono cresciute del 60% nel periodo 2002-2010.
Nella top-100, 44 industriali sono statunitensi e realizzano una cifra d’affari di 246,6 miliardi di dollari. Occupano 7 delle prime 10 posizioni mondiali, con il gigante Lockheed Martin in testa. E valgono più della metà dei 411,1 miliardi di fatturato. Imprese non toccate dalla crisi economica: l’ultimo decennio è stato prodigo in guerre e le cifre d’affari sono esplose. I dieci leader, tre dei quali europei (Bae System, Eads e Finmeccanica) impiegano 1.138.310 persone.
Se qualcuno risparmia (ed è difficile lamentarsene), altri spendono e spandono, anche se la loro economia nazionale non se la passa certo meglio; e così facendo sottraggono risorse a servizi ben più vicini ai cittadini. Nelle Americhe è il Venezuela di Chavez a distinguersi per la crescita delle importazioni belliche: più 555% dal 2002 ad oggi. Caracas ha ordinato alla Russia qualcosa come 6 miliardi di dollari di materiali militari, fra caccia, carri T-72, lanciarazzi multipli Smerch, elicotteri Mi-17 e sistemi di difesa aerea S-300. Il Nordafrica non è stato a guardare, con un incremento del 273% nell’import di armamenti. Il solo Marocco è cresciuto del 443%.
Una cosa è certa: se i Paesi asiatici primeggiano per spese militari, sono gli industriali dell’armamento statunitensi ed europei a beneficiarne. Secondo una recente classifica del Sipri, delle prime 100 aziende legate al settore della difesa solo 12 sono asiatiche e per gran parte fabbricano equipaggiamenti acquisiti su licenza dai rispettivi governi. Nel 2010, i grandi dell’armamento mondiale hanno fatto affari per 411,1 miliardi di dollari e le loro vendite sono cresciute del 60% nel periodo 2002-2010.
Nella top-100, 44 industriali sono statunitensi e realizzano una cifra d’affari di 246,6 miliardi di dollari. Occupano 7 delle prime 10 posizioni mondiali, con il gigante Lockheed Martin in testa. E valgono più della metà dei 411,1 miliardi di fatturato. Imprese non toccate dalla crisi economica: l’ultimo decennio è stato prodigo in guerre e le cifre d’affari sono esplose. I dieci leader, tre dei quali europei (Bae System, Eads e Finmeccanica) impiegano 1.138.310 persone.
Francesco Palmas
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