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lunedì 19 settembre 2011

ADICO: le news

Da ieri iva al 21%: iniziata la speculazione sui carburanti

18 settembre 2011
Con l’aumento dell’Iva al 21% é iniziata la speculazione alla pompa a danno dei consumatori – denuncia l’Adico – con benzinai che hanno già regolato il prezzo del carburante aggiungendo in media 12-13 millesimi di euro in più al litro. Dovrebbero i benzinai e le compagnie petrolifere assorbire il ritocco dell’Iva, visto che – afferma il presidente dell’ Adico, Carlo Garofolini – in questo periodo i petrolieri hanno potuto ingrassare i margini.
Ma non sarà questo il solo elemento che pesa sulla voce ‘automobile’. Per la Cgia di Mestre infatti oltre un terzo del rincaro Iva sarà riconducibile alle spese per il settore dei trasporti, ovvero all’aumento dei prezzi, in particolar modo, della benzina e del gasolio e dei biglietti dei bus e dei treni. E la Federauto stima un rincaro medio di 220 euro per l’acquisto di una macchina.
Secondo gli esperti dell’Adico in queste settimane le compagnie hanno accumulato margini aggiuntivi per almeno 5 – 6 centesimi al litro sui listini applicati.
«Il ministero dello Sviluppo economico, con la sua inerzia, non può continuare a consentire che i prezzi dei carburanti proseguano l’incredibile corsa al rialzo di questi giorni, lasciando che il Paese paghi questa situazione sia in termini di maggiore spesa per le famiglie, che di costi di trasporto, il Governo imponga ai petrolieri di assorbire l’aumento dell’Iva».
Difatti l’Istat ha rilevato in agosto rispetto a un anno fa un rincaro del 16,1% per la benzina (era 13,5% in luglio) e dell’1,2% su base mensile (agosto rispetto a luglio). Il prezzo del gasolio per i mezzi di trasporto è salito del 20,3% in termini tendenziali (dal 17,4% di luglio). Si tratta del rialzo più alto dall’agosto del 2008, ovvero da tre anni. Su confronto mensile, il gasolio ha segnato un aumento dell’1,4%.
Una ricerca del Centro studi Promotor aveva rilevato che nei primi otto mesi di quest’anno, mentre i consumi petroliferi calavano, c’è stato «un forte incremento della spesa, che è passata dai 36,3 miliardi del gennaio-agosto 2010 ai 41,7 miliardi dello stesso periodo di quest’anno, con un incremento di 5,4 miliardi (+15%)».
Di questo incremento, «una parte non trascurabile, cioè ben 1,2 miliardi, è andata a vantaggio del fisco che ha incamerato dalla vendita dei carburanti nel periodo gennaio-agosto 2011 ben 20,8 miliardi contro i 19,6 miliardi dello stesso periodo dell’anno scorso».



Ocse, precari metà dei giovani italiani. Napolitano: “Non lasciamoci atterrire”

16 settembre 2011
Precari e poco pagati. In Italia, il 27,9% dei giovani tra i 15 e i 24 anni è disoccupato e il 46,7% di chi invece lavora ha un impiego temporaneo. La fotografia dello stato di precarietà occupazionale del nostro Paese arriva dall’Ocse che, nel suo Employment Outlook, basato su dati di fine 2010, mette in chiaro quanto sia difficile per un giovane italiano trovare occupazione o stabilità contrattuale.
Una fotografia allarmante che il presidente Giorgio Napolitano, in visita a Bucarest, ha scelto di commentare con un messaggio di incoraggiamento: “La tendenza negativa è un dato già acquisito da lungo tempo. Non facciamoci atterrire da questi dati e problemi negativi. Dobbiamo affrontarli con consapevolezza e lucidità in un contesto europeo”, ha detto il capo dello Stato. “L’Europa – ha aggiunto – può fare molto per sostenere lo sviluppo e risanare le situazioni più squilibrate”. Poi, però, il presidente ha indirizzato un richiamo alla politica italiana: “Come fare, dopo due manovre in tre mesi, per stabilizzare la finanza pubblica e rilanciare la crescita non tocca a me dirlo, deve deciderlo il governo e il parlamento”.
Proprio ieri la Bce ha parlato di crescita molto moderata nell’area euro. E la commissione europea ha tagliato le sue stime sulla crescita del prodotto interno lordo italiano a +0,7% nel 2011 rispetto al +1% ipotizzato nelle previsioni di primavera. Già nei giorni scorsi, parlando da Palermo, Napolitano aveva definito la crescita un “tema drammatico”.
I giovani e i lavoro – Il 46,7% dei giovani ha dunque un contratto precario e questa percentuale è cresciuta di 9 punti dall’inizio della crisi, nel 2007. In quei giorni la disoccupazione giovanile era al 20,3%: oggi è al 27,9%, ben superiore alla media ponderata dell’area Ocse (16,7%). Il tasso di disoccupazione giovanile, riporta ancora lo studio Ocse, è più alto tra le donne, 29,4%, che tra gli uomini, 26,8%. Ed entrambi i dati sono superiori alla media dei 34 Paesi membri dell’organizzazione, rispettivamente del 15,7% e del 17,6%.
Secondo l’Ocse, “il mercato del lavoro italiano sta diventando più segmentato, con lavoratori in età matura in impieghi stabili e protetti e molti giovani senz’altro sbocco immediato che posti più precari”.
Salario – Notizie poco liete il rapporto Ocse segnala anche sul piano delle retribuzioni. Il salario medio in Italia nel 2010 è stato di 36.773 dollari (a tasso di cambio corrente), contro una media dell’Ue a 21 di 41.100 dollari e dell’Eurozona a 15 di 44.904 dollari. Il salario medio italiano è superiore a quelli di Spagna (35.031), Grecia (29.058) e Portogallo (22.003), ma inferiore a Francia (46.365 dollari), Germania (43.352) e Gran Bretagna (47.645).
Disoccupazione lunga. Continua a crescere nell’area Ocse il tasso di disoccupazione di lungo termine. Nei 34 Paesi membri, a fine 2010, il 48,5% dei disoccupati era senza lavoro da almeno 6 mesi (contro il 41% dell’anno precedente) e il 32,4% da almeno 12 mesi, contro il 24,2% del 2009. Per quanto riguarda l’Italia, i disoccupati senza lavoro da 6 mesi o più sono il 64,5% (in aumento di 3 punti percentuali rispetto al 2009) e quelli senza lavoro da un anno o più il 48,5% (+4 punti percentuali rispetto al 2009). “Fasi prolungate di disoccupazione – sottolinea l’Ocse nel rapporto – sono particolarmente penalizzanti, perché aumentano il rischio di una marginalizzazione permanente dal mercato del lavoro, come risultato del deprezzamento delle abilità e della perdità di autostima e motivazione”.
Part time. In Italia il lavoratori part time sono donne per il 76,9%. Le lavoratrici part-time rappresentano il 31,1% del totale delle donne occupate, mostrano ancora i dati dell’organizzazione parigina, contro il 6,3% tra gli uomini. Il lavoro a tempo parziale (meno di 30 ore settimanali, secondo la definizione Ocse) rappresenta nel nostro Paese il 16,3% del totale dei posti di lavoro.
Ammortizzatori. In Italia il sistema fiscale e di welfare “gioca un ruolo minore nel proteggere le famiglie contro le conseguenze di grandi contrazioni del reddito da lavoro” rispetto ad altri Paesi dell’Organizzazione. Per gli italiani, spiega l’Ocse, “grandi riduzioni del reddito da lavoro individuale (per esempio in caso di perdita del posto di lavoro) tendono a tradursi in contrazioni del reddito disponibile familiare superiori a quelle osservate negli altri Paesi Ocse”, a causa “della limitata azione di assorbimento degli shock operata dagli ammortizzatori sociali”. Di conseguenza, conclude lo studio, “lo shock negativo sui redditi da lavoro subìto da non pochi italiani durante la crisi si è probabilmente tradotto in un aumento del rischio di povertà e di difficoltà finanziarie, anche se l’aumento massiccio di risorse per la cassa integrazione guadagni ha contribuito significativamente a limitare il numero di lavoratori affetti da tali shock”.
L’appello dell’Ocse. “Bisogna fare di più per migliorare in modo durevole la situazione del mercato del lavoro per i giovani” afferma l’Ocse, e per farlo servono riforme. Con l’arrivo della crisi, prosegue lo studio, la legislazione italiana “restrittiva” sui contratti da lavoro a tempo indeterminato da una parte “potrebbe aver aiutato il paese a contenere l’impatto della recessione sul mercato del lavoro”, ma dall’altra “nella fase attuale tale legislazione potrebbe scoraggiare le assunzioni, soprattutto con contratti permanenti, mettendo dunque a repentaglio la ripresa”. L’Ocse chiede dunque “un’ampia riforma dei contratti di lavoro” che “dovrebbe essere rivolta, in particolare, a ridurre l’incertezza rispetto alle conseguenze del quadro regolamentare sugli esiti delle procedure di licenziamento”.




Sacconi contro l’esito del referendum sull’acqua. E sul web scoppia la rivolta

17 settembre 2011
Il ministro del Welfare ha dichiarato davanti alla platea di Confindustria: “Il risultato della consultazione non è definitivo”. Parole che hanno scatenato la reazione di chi si era mobilitato per la raccolta firme: “Si dimetta”
Il referendum sull’acqua ha raggiunto il quorum e oltre il 95 per cento dei votanti ha scelto il “sì” per entrambi i quesiti. Per i cittadini è impensabile ignorare il significato politico di quel voto. Non è così invece per il ministro del Welfare Maurizio Sacconi che ieri, ospite a un convegno del Centro Studi di Confindustria, ha dichiarato che l’esito della consultazione popolare non sarebbe affatto definitivo. Una frase passata in sordina, ma rilanciata da un articolo de L’Unità. “Altro che sorella acqua – ha detto Sacconi – mi auguro che troveremo il modo per mettere in discussione il referendum”. Parole che hanno scatenato la reazione di chi si era mobilitato per la raccolta firme.
Il comitato referendario “2 sì per l’acqua bene comune” chiede che il ministro lasci il suo incarico di governo. Infatti con l’esito del referendum “la maggioranza dei cittadini italiani, con un voto chiaro e democratico ha, di fatto, sfiduciato Sacconi che invitiamo al più presto a rassegnare le dimissioni da ministro della Repubblica italiana”. La dichiarazione di Sacconi, “rappresenta di fatto un ‘golpe’ contro la volontà chiaramente espressa il 12 e il 13 giugno 2011 da 27 milioni di cittadini e garantita dalla nostra Costituzione, la stessa alla quale il ministro Sacconi deve attenersi”. E il comitato annuncia che il ministro e “tutti coloro che vorranno mettere in atto scempi alla democrazia contro il referendum si troveranno davanti alla netta opposizione dei cittadini e delle cittadine italiane che la scorsa primavera hanno votato 2 Sì per l’Acqua Bene Comune”. Anche su Facebook impazza la polemica su Sacconi che “non riesce ad ascoltare il popolo”, che aveva manifestato la volontà di salvaguardare la gestione dell’acqua dall’invadenza del mercato e che si permette di violare la volontà dei cittadini “come se ad essere incostituzionale fosse il referendum”. Nessun cenno invece alla polemica sulla pagina del ministro che oggi posta la notizia di uno stage a Creta presso l’Agenzia europea per la sicurezza della rete ricorda che a Roma è ancora aperto il bando per i rilevatori del censimento.
Anche don Paolo Farinella, sacerdote che aveva firmato per l’iniziativa dei religiosi che il 9 giugno hanno manifestato a Roma per l’acqua pubblica, concorda sulla richiesta di dimissioni avanzata dal comitato promotore: “Questa è la degenerazione della democrazia – osserva. – Mi pare che le dimissioni siano il minimo visto che a parole vorrebbe sovvertire la volontà popolare e la Costituzione”, ma riconosce che le dichiarazioni di Sacconi non rappresentino un caso isolato. “Esiste una volontà bipartisan di non lasciare la gestione dell’acqua al pubblico e si tratta di un’esplicita volontà politica. E quando un ministro di lascia andare a queste considerazioni ignora anche il significato di un referendum”. Specie se ha visto la partecipazione di 27 milioni di italiani.

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