Quasi 90 anni e non sentirli. Una
personalità poliedrica, campionessa di sincerità e di simpatia. Una napoletana
trapiantata a Cosenza, come sua figlia.
Una madre e una figlia che definire
affiatate è comunque una diminutio. Il loro legame è indescrivibile, basta
capire come si guardano negli occhi. Non solo amore materno e filiale, ma anche
condivisione dell’arte , delle lettere, del cinema. Una passione che ha radici
antiche, quest’ultima, per certi versi quasi necessaria, se si pensa al fatto
che la madre, che, negli anni ’50, si divideva tra due lavori (funzionaria
dell’Ufficio Imposte e insegnante alle scuole serali), portava al cinema i suoi cinque figli,
affidandoli alla maschera, tornando a riprenderli alla fine del film. La madre
è Maria Pisciotta, campana di Gragnano, a pochi passi da Napoli. La figlia è
Matilde Tortora, conosciutissima in città, ma forse ancora più famosa
all’estero dove con grande competenza partecipa a festival e convegni, tenendo
testa a studiosi e prime firme della critica cinematografica internazionale,
lei che è scrittrice, saggista e storica del cinema e che vive tra Cosenza e
Parigi, dove è membro della prestigiosissima “Cinématèque Francaise”. Autrice
di pregevolissimi saggi sul cinema, ha di recente curato il libro “Le donne nel
cinema d’animazione” che ha vinto un importante riconoscimento (il premio
Gilda-Libro al Festival Internazionale “Cinema e Donna” di Firenze, presentato
persino all’Unesco a Palazzo Zorzi a Venezia per il suo alto contributo
all’eguaglianza di genere).
Due personalità complementari che la
Commissione cultura di Palazzo dei Bruzi non poteva lasciarsi sfuggire. Di qui
l’invito a “Nemo Propheta in Patria”, la rassegna dedicata alle eccellenze
artistiche e culturali cosentine che finora non avevano avuto il giusto
riconoscimento nella città dove risiedono.
Maria Pisciotta e Matilde Tortora sono
state accolte dal Presidente della commissione cultura Claudio Nigro e
introdotte dal Vice Presidente Maria Lucente, presenti, tra gli altri Mimmo
Frammartino, Pierluigi Caputo, Giovanni Cipparrone, Roberto Sacco, Francesco
Spadafora, Massimo Bozzo e Luca Gervasi.
Maria Lucente, descrivendo la
personalità di Maria Pisciotta ha parlato di “una creatività sensazionale,
anche nel gioco, quello che ogni nonna dispensa ai propri nipoti. Una vivacità
che la fa sembrare simile a una farfalla. Il suo presepe, al quale tiene
moltissimo, ha avuto gli apprezzamenti di Papa Ratzinger che ha ricevuto Maria
Pisciotta in udienza generale e le ha poi fatto pervenire addirittura una
lettera di ringraziamento.”
Sì il presepe. Prima di arrivare al
punto Maria Pisciotta, quasi come in un flashback, riavvolge il nastro della
sua vita perché ritiene indispensabile una premessa.
E così prende a raccontarsi, prima con
una velata timidezza, poi con la contagiosa simpatia dei napoletani. Racconta
di avere avuto due genitori “squisiti”.
“Mi diplomai alle magistrali e avrei
voluto proseguire i miei studi all’Università. Così mi iscrissi all’Orientale a
Napoli per studiare francese e spagnolo, ma a quei tempi gli spostamenti erano
difficili, si viaggiava nei carri di bestiame e mio padre non mi fece più
andare a Napoli. In compenso mi avviai allo studio del pianoforte. Il giorno
del referendum istituzionale per determinare la forma di stato dopo la seconda
guerra mondiale ( siamo nel giugno del 1946) entrò in casa mia un amico di mio
fratello, mentre io suonavo al
pianoforte la “Paloma”, il celebre brano di Sebastián de Iradier con il
quale mi piaceva molto esercitarmi. Avevo 21 anni. Fu il classico “coup de
foudre” e si innamorò perdutamente di me e la sua sfrontatezza fu tale da
dichiarare il suo amore a mio padre senza dirmi niente, tanto che mio padre
pensò ad un disegno ordito da me, ma io non ero veramente al corrente. Fu una
sua inziativa.
Ci sposammo, avemmo sette figli (una di
loro è Matilde), ma la nostra felicità venne stroncata la sera del 18 dicembre
del 1955, mentre stavamo preparando il presepe per l’arrivo del Natale, quando
mio marito morì tra le mie braccia, improvvisamente. Io avevo 29 anni e lui 31.
Da allora l’abitudine di fare il presepe, che iniziai dall’età di dieci anni,
quando mio nonno, commerciante di legna, forniva i ceppi per realizzarlo,
continuò senza sosta. E ancora oggi è un rituale irrinunciabile. Il mio presepe
si visita, non si guarda.”
Una passione così radicata quella per
il presepe che ha spinto qualche anno fa Maria Pisciotta e Matilde Tortora a
raccogliere le fotografie scattate alla sua “creatura” in un libro dal titolo
“Istantanee dal mio presepe”, nel quale le foto si alternano a testi e versi
sull’argomento, di, tra gli altri, Thomas Hardy, Pier Paolo Pasolini, Umberto
Saba, Goethe, Salvatore Quasimodo e Giorgio Manganelli.
Il Presepe di Maria Pisciotta è quasi
un presepe di quartiere perché è tutto il quartiere che durante il Natale vi si
accosta. “Una dimora per i nostri sguardi rammemoranti”- dice nella
presentazione del libro Matilde Tortora.
E Maria Pisciotta ha condotto per mano
anche i componenti della commissione cultura all’interno del suo presepe,
mostrandoglielo in un video proiettato a Palazzo dei Bruzi. Anche loro hanno
potuto godere le più profonde e nascoste “vedute” del Presepe, costruite con
l’ausilio di specchi, che spesso richiedono vere e proprie acrobazie al
visitatore che vuole fruirne appieno.
In commissione cultura è intervenuta
anche Matilde Tortora che ha sottolineato la cifra particolare dell’incontro,
quella del riconoscimento. “Come io ho riconosciuto in mia madre una persona
dotata di talento, così oggi la commissione cultura le tributa un omaggio
riconoscendo a sua volta questa valenza. Non c’è cosa di più appagante che
attraversare insieme la vita. Molti danni sono accaduti e accadono perché non
si ha la cultura del riconoscere l’altro. Tutte le difficoltà al mondo sono
riassumibili nel dilemma “essere accolti o non essere accolti”, come teorizzava
sapientemente Heidegger. La cifra attribuita a questo vostro progetto è quella
del riconoscimento degli altri, che è una cifra novecentesca. Tutto questo ha
una possanza unica e lo trovo estremamente originale.”
Ricordando il suo primo approccio con
il cinema, quando la madre insieme agli altri figli la affidava alla maschera
presente in sala, Matilde Tortora ama dire che “il cinema è una faccenda di
affidabilità” che è anche il titolo di uno dei suoi tanti libri.
E l’amore per il cinema ritorna anche
in un altro testo, “Dallo schermo alla parola”, semiologia dei film raccontati
negli anni quaranta, un libro costruito sul recupero di fotogrammi perduti che
erano quelli che la madre collezionava e che custodì nei suoi cassetti, veri e
propri forzieri della memoria.
“A quel tempo – ricorda ancora Matilde
Tortora - mia madre aveva 18 anni e sugli schermi impazzava l’immagine della
diva Deanna Durbin e io ho ritenuto giusto ritrarle entrambe in copertina”.
Lo scorso anno ha ideato e realizzato
il film “Il Sole con l’alchèrmes” sui 150 anni dell’Unità d’Italia, proiettato
in prima nazionale, con sottotitoli in inglese, al Cinema Odeon di Firenze. Un
film che ha suscitato ora l’interesse della commissione cultura di Palazzo dei
Bruzi che informerà il Sindaco Occhiuto perché possa essere proiettato anche a
Cosenza il prossimo 17 marzo, Festa dell’Unità nazionale.
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