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martedì 30 ottobre 2012

PRC: LONGO, LA PIANA DI GIOIA TAURO E’ IN GINOCCHIO E LA 'NDRANGHETA RINGRAZIA


La Piana di Gioia Tauro vive oramai la crisi economica e sociale più grave dell’ultimo decennio a causa dell’attuazione di politiche slegate a quelle che sono le reali esigenze del nostro territorio e della sempre maggiore capacità di infiltrazione del malaffare sia nelle istituzioni pubbliche che nella gestione del sistema rifiuti e del Porto di Gioia Tauro.
Di fronte al dramma che vivono quotidianamente moltissime famiglie pianigiane sempre più vicine alla soglia della povertà e pertanto più facilmente arruolabili dalla criminalità organizzata, assistiamo da parte del Governo regionale e nazionale a continui tagli in tutti i settori nevralgici della vita politica. La chiusura di ospedali, scuole e tribunali, oltre ai tagli in materia di trasporti, in nome di una illogica razionalizzazione della spesa a scapito di giovani, lavoratori e pensionati, costituisce un chiaro e pericoloso indebolimento del tessuto civile e democratico del territorio. Un Governo ed un parlamento che usano le forbici senza attivare il cervello sono da mandare a casa al più presto.
Emblematica da parte del Governo Monti, ad esempio, la decisione di chiudere indistintamente tutte le sezioni staccate di tribunale, comprese quelle che nel corso degli anni si sono distinte per efficienza e produttività (vedi ad esempio la sede di Cinquefrondi). Il Tribunale di Cinquefrondi, infatti, serve ben 22 Comuni (da Candidoni ad Oppido Mamertina) con un bacino di abitanti di gran lunga superiore a quello del Tribunale di Palmi e con un carico di lavoro nettamente superiore alla sede centrale di Palmi. La decisione di chiudere dal prossimo settembre anche la sezione staccata di Cinquefrondi è da ritenere assurda anche in tema di risparmi, in quanto i locali sono di proprietà del Ministero di Grazia e Giustizia ed i costi di gestione annui sono per circa 80 mila euro a carico del Ministero e per circa 30 mila euro a carico del Comune. Costi irrisori che non possono assolutamente giustificare la chiusura di un presidio di legalità importante con annesse ricadute negative anche in termini economici per il territorio.
Da un mese è stato addirittura chiuso il carcere a custodia attenuata di Laureana di Borrello, modello di rieducazione e reinserimento sociale del detenuto che ospitava giovani tra i 18 ed i 40 anni colpevoli di reati comuni e che al loro ingresso dovevano rinnegare la ndrangheta. Nello specifico, quello di Laureana rappresenta un modello positivo da esportare in tutta Italia, in un panorama in cui la situazione drammatica delle carceri non trova rimedio nella legislatura, il Daga è l'unico istituto in cui alle persone che vi arrivano viene offerta una vera possibilità di riscatto. Un modo concreto per ridare alla società un uomo migliore. La sua chiusura, a fronte di una ridicola quanto illogica motivazione, è di una gravità inaudita, in quanto lo Stato è riuscito a fare ciò che la criminalità organizzata per anni si è augurato avvenisse, in quanto i casi di recidiva riguardanti i soggetti che hanno espiato la pena al Daga sono inferiori al 10%.
Il caso Piana Ambiente si rivela purtroppo ogni giorno di più come un fallimento sistemico che trascina con sé diritti dei lavoratori e dei cittadini, aspettative di collaborazione fra enti pubblici per il bene comune e tutela ambientale. A tal proposito, come fidarsi ciecamente dei dati forniti dall'Arpacal sulla qualità dell'aria che respiriamo nella Piana di Gioia Tauro preso atto che la gente muore o si ammala in percentuale notevolmente maggiore rispetto al passato? Il fallimento di una società che vanta 5 milioni di crediti è al tempo stesso diventato il simbolo di un sud inceppato nel suo avanzamento sociale, civico e culturale. Il fatto stesso che molti Comuni diano poco credito a un soggetto consortile che prenda il testimone di Piana Ambiente e che stiamo subendo un raddoppio di inceneritore senza conoscerne il reale impatto ambientale, conferma quanto il nostro territorio sia impantanato in una battaglia di particolarismi, visioni dal respiro cortissimo. Eppure, è il lavoro di squadra, la messa in rete delle soggettività deputate alla cura del territorio che consente sviluppo e trasparenza e frena lo sperpero di risorse pubbliche.
La situazione del trasporto pubblico nella Piana di Gioia Tauro diventa, ogni giorno di più, esasperante e inaccettabile. Autolinee tagliate, treni fantasma, linee taurensi chiuse, insomma il diritto alla mobilità di migliaia di cittadini ridotto a posta in palio della ruota della fortuna. Una classe dirigente seria  che vorrebbe concretamente il rilancio del trasporto pubblico locale su ferro,anziché favorire il privato, partirebbe dal ripiano del debito di FdC ad opera di Governo e Regione per poi procedere all’acqui­si­zione inte­grale dell’azienda da parte della Regione, riorganizzando i ser­vizi in modo coor­di­nato e inte­grato e garantendo gli stipendi ai lavoratori che come sempre pagano lo scotto di una politica disattenta ai loro problemi.
Il porto di Gioia Tauro sembra non avere futuro ed essere menzionato solo per sequestri di carichi di cocaina. Da diversi mesi si susseguono solo proclami e passerelle intorno allo scalo gioiese, senza mai alcun concreto risultato che ne rilanci la credibilità sul piano internazionale, come se si fosse rassegnati ad avere un porto che sulla carta è il primo del mediterraneo ma  nei fatti destinato a morire e con esso le residue speranze dei lavoratori che sono in cassa integrazione. Non si capisce perché non siano stati sbloccati i fondi dell’Accordo di Programma Quadro su Gioia Tauro, così come ciò che riguarda l’abbattimento dei costi del lavoro e le agevolazioni fiscali  tipo area franca, o la posizione di Rete Ferroviaria Italiana sul gateway e al collegamento ferroviario. La dignità e i sacrifici dei lavoratori del porto non devono essere sacrificati, perché bisogna pretendere che MCT dia a Gioia Tauro la stessa attenzione e lo stesso rispetto che sta concedendo ai porti del nord Italia, perché la c.d. ristrutturazione aziendale non si attua applicando una flessibilità esasperata senza alcuna garanzia per i lavoratori che rischiano di essere inseriti in una strada senza ritorno.
In questo scenario di povertà generale in cui urge uno scatto di orgoglio, coraggio e dignità da parti di tutti, ritengo che i parlamentari calabresi del Pd, Udc e del Pdl stiano per concludere una legislatura per loro politicamente fallimentare, perché la nostra regione, soprattutto in questi due ultimi anni, ha subito le peggiori angherie senza che nessuno abbia mai posto un problema serio di fiducia al partito di appartenenza e di conseguenza ad un Governo che ha dimostrato di essere debole con i forti e forte con i deboli.

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