La Piana di Gioia Tauro
vive oramai la crisi economica e sociale più grave dell’ultimo decennio a causa
dell’attuazione di politiche slegate a quelle che sono le reali esigenze del
nostro territorio e della sempre maggiore capacità di infiltrazione del
malaffare sia nelle istituzioni pubbliche che nella gestione del sistema
rifiuti e del Porto di Gioia Tauro.
Di fronte al dramma che
vivono quotidianamente moltissime famiglie pianigiane sempre più vicine alla
soglia della povertà e pertanto più facilmente arruolabili dalla criminalità
organizzata, assistiamo da parte del Governo regionale e nazionale a continui
tagli in tutti i settori nevralgici della vita politica. La chiusura di
ospedali, scuole e tribunali, oltre ai tagli in materia di trasporti, in nome
di una illogica razionalizzazione della spesa a scapito di giovani, lavoratori
e pensionati, costituisce un chiaro e pericoloso indebolimento del tessuto
civile e democratico del territorio. Un Governo ed un parlamento che usano le
forbici senza attivare il cervello sono da mandare a casa al più presto.
Emblematica da parte
del Governo Monti, ad esempio, la decisione di chiudere indistintamente tutte
le sezioni staccate di tribunale, comprese quelle che nel corso degli anni si
sono distinte per efficienza e produttività (vedi ad esempio la sede di
Cinquefrondi). Il Tribunale di Cinquefrondi, infatti, serve ben 22 Comuni (da
Candidoni ad Oppido Mamertina) con un bacino di abitanti di gran lunga
superiore a quello del Tribunale di Palmi e con un carico di lavoro nettamente
superiore alla sede centrale di Palmi. La decisione di chiudere dal prossimo
settembre anche la sezione staccata di Cinquefrondi è da ritenere assurda anche
in tema di risparmi, in quanto i locali sono di proprietà del Ministero di
Grazia e Giustizia ed i costi di gestione annui sono per circa 80 mila euro a
carico del Ministero e per circa 30 mila euro a carico del Comune. Costi
irrisori che non possono assolutamente giustificare la chiusura di un presidio
di legalità importante con annesse ricadute negative anche in termini economici
per il territorio.
Da un mese è stato
addirittura chiuso il carcere a custodia
attenuata di Laureana di Borrello, modello di rieducazione e reinserimento
sociale del detenuto che ospitava giovani tra i 18 ed i 40 anni colpevoli di
reati comuni e che al loro ingresso dovevano rinnegare la ndrangheta. Nello
specifico, quello di Laureana rappresenta un modello positivo da esportare in
tutta Italia, in un panorama in cui la situazione drammatica delle carceri non
trova rimedio nella legislatura, il Daga è l'unico istituto in cui alle persone
che vi arrivano viene offerta una vera possibilità di riscatto. Un modo
concreto per ridare alla società un uomo migliore. La sua chiusura, a fronte di
una ridicola quanto illogica motivazione, è di una gravità inaudita, in quanto
lo Stato è riuscito a fare ciò che la criminalità organizzata per anni si è
augurato avvenisse, in quanto i casi di recidiva riguardanti i soggetti che
hanno espiato la pena al Daga sono inferiori al 10%.
Il caso Piana Ambiente si rivela
purtroppo ogni giorno di più come un fallimento sistemico che trascina con sé
diritti dei lavoratori e dei cittadini, aspettative di collaborazione fra enti pubblici
per il bene comune e tutela ambientale. A tal proposito, come fidarsi ciecamente
dei dati forniti dall'Arpacal sulla qualità dell'aria che respiriamo nella Piana di
Gioia Tauro preso atto che la gente muore o si ammala in percentuale notevolmente
maggiore rispetto al passato? Il fallimento di una società che
vanta 5 milioni di crediti è al tempo stesso diventato il simbolo di un sud
inceppato nel suo avanzamento sociale, civico e culturale. Il fatto stesso che molti
Comuni diano poco credito a un soggetto consortile che prenda il testimone di
Piana Ambiente e che stiamo subendo un raddoppio di inceneritore senza
conoscerne il reale impatto ambientale, conferma quanto il nostro territorio
sia impantanato in una battaglia di particolarismi, visioni dal respiro
cortissimo. Eppure, è il lavoro di squadra, la messa in rete delle soggettività
deputate alla cura del territorio che consente sviluppo e trasparenza e frena
lo sperpero di risorse pubbliche.
La situazione del
trasporto pubblico nella Piana di Gioia Tauro diventa, ogni giorno di più,
esasperante e inaccettabile. Autolinee tagliate, treni fantasma, linee taurensi
chiuse, insomma il diritto alla mobilità di migliaia di cittadini ridotto a
posta in palio della ruota della fortuna. Una classe
dirigente seria che vorrebbe
concretamente il rilancio del trasporto pubblico locale su ferro,anziché
favorire il privato, partirebbe dal ripiano del debito di FdC
ad opera di Governo e Regione per poi procedere all’acquisizione integrale
dell’azienda da parte della Regione, riorganizzando i servizi in modo coordinato
e integrato e garantendo gli stipendi ai lavoratori che come sempre pagano lo
scotto di una politica disattenta ai loro problemi.
Il porto di Gioia Tauro
sembra non avere futuro ed essere menzionato solo per sequestri di carichi di
cocaina. Da diversi mesi si susseguono solo proclami e passerelle intorno allo
scalo gioiese, senza mai alcun concreto risultato che ne rilanci la credibilità
sul piano internazionale, come se si fosse rassegnati ad avere un porto che
sulla carta è il primo del mediterraneo ma
nei fatti destinato a morire e con esso le residue speranze dei
lavoratori che sono in cassa integrazione. Non si
capisce perché non siano stati sbloccati i fondi dell’Accordo di Programma Quadro
su Gioia Tauro, così come ciò che riguarda l’abbattimento dei costi del lavoro
e le agevolazioni fiscali tipo area franca, o la posizione di Rete
Ferroviaria Italiana sul gateway e al collegamento ferroviario. La dignità e i
sacrifici dei lavoratori del porto non devono essere sacrificati, perché
bisogna pretendere che MCT dia a Gioia Tauro la stessa attenzione e lo stesso
rispetto che sta concedendo ai porti del nord Italia, perché
la c.d. ristrutturazione aziendale non si attua applicando una flessibilità
esasperata senza alcuna garanzia per i lavoratori che rischiano di essere
inseriti in una strada senza ritorno.
In questo scenario di
povertà generale in cui urge uno scatto di orgoglio, coraggio e dignità da
parti di tutti, ritengo che i parlamentari calabresi del Pd, Udc e del Pdl stiano
per concludere una legislatura per loro politicamente fallimentare, perché la
nostra regione, soprattutto in questi due ultimi anni, ha subito le peggiori
angherie senza che nessuno abbia mai posto un problema serio di fiducia al
partito di appartenenza e di conseguenza ad un Governo che ha dimostrato di
essere debole con i forti e forte con i deboli.
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