I sindaci in prima linea nella corsa ai rincari
Agosto difficile per i comuni italiani che, dopo i tagli previsti dalla manovra, in molti casi hanno dovuto aumentare le tariffe di imposte e servizi.
A Milano si prospetta l’introduzione dell’addizionale Irpef allo 0,2%, con esenzione fino a 33.500 euro di reddito lordo, e l’aumento da settembre del biglietto del trasporto locale da 1 euro a 1,50 (abbonamenti invariati). Il rincaro è già in vigore a Genova (con un aumento di 0,30 centesimi a 1,5 euro).
Per quest’anno, invece, le tariffe del capoluogo ligure sono rimaste le stesse, come spiega Francesco Miceli, assessore al Bilancio: «Quest’anno non ci sono stati aumenti e anche per il 2012 la nostra intenzione è di non toccare nulla e non alzare le tariffe, ma dopo i tagli apportati in questa manovra e l’inasprimento del patto di stabilità, non sappiamo se riusciremo a reggere il passo». Diversi gli aumenti ad Ancona, dove la Tarsu è aumentata dell’1,9%, verrà introdotta la tassa di soggiorno ed è stato deliberato un aumento medio del 10% su servizi comunali, mense, asili e impianti sportivi.
Il 2011 è stato l’anno degli aumenti per i cittadini di Bologna, che hanno visto rincarare tutto, dai biglietti dell’autobus alle rette per gli asili. Già sotto la guida del commissario straordinario Annamaria Cancellieri era stato deliberato un incremento della Tarsu pari al 5% e nuove tariffe per il trasporto pubblico: da inizio anno il costo per una corsa urbana è passato da 1 euro a 1,20. Non è andata meglio agli automobilisti: per parcheggiare sulle strisce blu nel centro storico, per esempio, ci vogliono 1,80 euro, contro 1,50 del 2010. Dopo i nuovi provvedimenti del sindaco Virginio Merola, cambiano anche le rette degli asili: nessuna tassa di iscrizione, ma un costo più alto, in media, di 83 euro a partire da settembre. Le rette delle materne sono state rimodulate a Firenze, con maggiori sanzioni per chi evade e riduzioni per le famiglie numerose, così come a Bari dove il costo è pari all’1% dell’Isee e l’aumento dei ticket mensa pesa su chi ha un reddito Isee superiore ai 6mila euro (si va da 1,65 a 1,80 euro a buono).
Punta sui turisti Firenze che, sull’esempio di Roma, ha introdotto la tassa di soggiorno a partire dal 1° luglio scorso: per il 2011 il Comune ha previsto 10 milioni di entrate, che a regime arriveranno a 19 milioni.
E l’amministrazione di Venezia ha introdotto per la prima volta nel 2011 addizionale sull’Irpef, imposta di soggiorno, canone d’uso degli approdi pubblici; ma ha anche rivisto la tariffa di igiene ambientale, con incrementi compresi tra il 20 e il 30%, e il sistema di assistenza tutelare a domicilio, prevedendo la compartecipazione degli utenti alle spese. Il canone degli scarichi reflui è aumentato inoltre dell’80% e ulteriori rincari sono stati previsti per i trasporti pubblici, il Cosap e gli impianti sportivi. Il Comune di Torino, invece, ha alzato dell’1,5% il canone sulle iniziative pubblicitarie e dell’1% la Tarsu; per il 2012 è probabile l’introduzione di un’imposta di soggiorno e il rincaro dei biglietti dei mezzi pubblici. È già allo studio una revisione del sistema tariffario per mense scolastiche e scuole materne da applicare nell’anno scolastico 2012-2013.
In molti casi, i rincari sono legati a contingenze specifiche: l’aumento dal 2012 dei biglietti dell’Atac da 1 a 1,50 euro, a Roma, è contestuale all’ampliamento del servizio con l’inaugurazione della nuova linea metropolitana. Sempre nella capitale, il rincaro dell’addizionale Irpef dallo 0,5% allo 0,9% nel 2011 è destinato a risanare il debito pregresso: l’incasso sarà interamente devoluto allo Stato. Similmente, l’incremento del 12% della Tia (tariffa di igiene ambientale) romana è dovuto per il 10% alla reintroduzione dell’Iva con legge nazionale.
L’aumento del 5% della Tarsu a Napoli è dovuto all’emergenza rifiuti e alla peculiare divisione della tassa tra Comune e Provincia; così, è stata la Provincia a segnalare un aumento dei costi del 13% e a innalzare la quota di Tarsu di propria spettanza, mentre il Comune ha impugnato questa decisione ritenendola illegittima, anche a causa di elementi di retroattività.
Anche là dove non è previsto alcun aumento entro fine anno, le amministrazioni locali stanno pensando a come sopperire ai tagli: «Per quest’anno non abbiamo aumentato né tasse né tariffe – spiega Giuseppe Genco, assessore al bilancio del Comune di Palermo -, ma con i notevoli tagli agli enti locali dovremmo sopperire in qualche modo». Gli fa eco Filippo Mancuso, assessore al Bilancio del comune di Catanzaro: «Con i nuovi tagli ai comuni, probabilmente qualcosa aumenterà il prossimo anno: forse le addizionali e la tariffa della Tarsu». Secondo Mauro Baccega, assessore ai Servizi finanziari del Comune di Aosta, invece, «vista la congiuntura economica delle famiglie non ritengo si possa procedere ad alcun aumento».
Infine, dal Comune di Perugia spiegano così i rincari del 2011 e quelli, probabili, del 2012: «Le misure introdotte dalla manovra finanziaria e dalla legge di stabilità hanno comportato pesanti riduzioni dei trasferimenti statali, ai quali si devono aggiungere i “tagli indiretti” derivanti dalla riduzione dei trasferimenti statali alla Regione Umbria. Ciò che è sicuro è che in ogni futuro intervento terremo conto della protezione delle fasce sociali più deboli»
A Milano si prospetta l’introduzione dell’addizionale Irpef allo 0,2%, con esenzione fino a 33.500 euro di reddito lordo, e l’aumento da settembre del biglietto del trasporto locale da 1 euro a 1,50 (abbonamenti invariati). Il rincaro è già in vigore a Genova (con un aumento di 0,30 centesimi a 1,5 euro).
Per quest’anno, invece, le tariffe del capoluogo ligure sono rimaste le stesse, come spiega Francesco Miceli, assessore al Bilancio: «Quest’anno non ci sono stati aumenti e anche per il 2012 la nostra intenzione è di non toccare nulla e non alzare le tariffe, ma dopo i tagli apportati in questa manovra e l’inasprimento del patto di stabilità, non sappiamo se riusciremo a reggere il passo». Diversi gli aumenti ad Ancona, dove la Tarsu è aumentata dell’1,9%, verrà introdotta la tassa di soggiorno ed è stato deliberato un aumento medio del 10% su servizi comunali, mense, asili e impianti sportivi.
Il 2011 è stato l’anno degli aumenti per i cittadini di Bologna, che hanno visto rincarare tutto, dai biglietti dell’autobus alle rette per gli asili. Già sotto la guida del commissario straordinario Annamaria Cancellieri era stato deliberato un incremento della Tarsu pari al 5% e nuove tariffe per il trasporto pubblico: da inizio anno il costo per una corsa urbana è passato da 1 euro a 1,20. Non è andata meglio agli automobilisti: per parcheggiare sulle strisce blu nel centro storico, per esempio, ci vogliono 1,80 euro, contro 1,50 del 2010. Dopo i nuovi provvedimenti del sindaco Virginio Merola, cambiano anche le rette degli asili: nessuna tassa di iscrizione, ma un costo più alto, in media, di 83 euro a partire da settembre. Le rette delle materne sono state rimodulate a Firenze, con maggiori sanzioni per chi evade e riduzioni per le famiglie numerose, così come a Bari dove il costo è pari all’1% dell’Isee e l’aumento dei ticket mensa pesa su chi ha un reddito Isee superiore ai 6mila euro (si va da 1,65 a 1,80 euro a buono).
Punta sui turisti Firenze che, sull’esempio di Roma, ha introdotto la tassa di soggiorno a partire dal 1° luglio scorso: per il 2011 il Comune ha previsto 10 milioni di entrate, che a regime arriveranno a 19 milioni.
E l’amministrazione di Venezia ha introdotto per la prima volta nel 2011 addizionale sull’Irpef, imposta di soggiorno, canone d’uso degli approdi pubblici; ma ha anche rivisto la tariffa di igiene ambientale, con incrementi compresi tra il 20 e il 30%, e il sistema di assistenza tutelare a domicilio, prevedendo la compartecipazione degli utenti alle spese. Il canone degli scarichi reflui è aumentato inoltre dell’80% e ulteriori rincari sono stati previsti per i trasporti pubblici, il Cosap e gli impianti sportivi. Il Comune di Torino, invece, ha alzato dell’1,5% il canone sulle iniziative pubblicitarie e dell’1% la Tarsu; per il 2012 è probabile l’introduzione di un’imposta di soggiorno e il rincaro dei biglietti dei mezzi pubblici. È già allo studio una revisione del sistema tariffario per mense scolastiche e scuole materne da applicare nell’anno scolastico 2012-2013.
In molti casi, i rincari sono legati a contingenze specifiche: l’aumento dal 2012 dei biglietti dell’Atac da 1 a 1,50 euro, a Roma, è contestuale all’ampliamento del servizio con l’inaugurazione della nuova linea metropolitana. Sempre nella capitale, il rincaro dell’addizionale Irpef dallo 0,5% allo 0,9% nel 2011 è destinato a risanare il debito pregresso: l’incasso sarà interamente devoluto allo Stato. Similmente, l’incremento del 12% della Tia (tariffa di igiene ambientale) romana è dovuto per il 10% alla reintroduzione dell’Iva con legge nazionale.
L’aumento del 5% della Tarsu a Napoli è dovuto all’emergenza rifiuti e alla peculiare divisione della tassa tra Comune e Provincia; così, è stata la Provincia a segnalare un aumento dei costi del 13% e a innalzare la quota di Tarsu di propria spettanza, mentre il Comune ha impugnato questa decisione ritenendola illegittima, anche a causa di elementi di retroattività.
Anche là dove non è previsto alcun aumento entro fine anno, le amministrazioni locali stanno pensando a come sopperire ai tagli: «Per quest’anno non abbiamo aumentato né tasse né tariffe – spiega Giuseppe Genco, assessore al bilancio del Comune di Palermo -, ma con i notevoli tagli agli enti locali dovremmo sopperire in qualche modo». Gli fa eco Filippo Mancuso, assessore al Bilancio del comune di Catanzaro: «Con i nuovi tagli ai comuni, probabilmente qualcosa aumenterà il prossimo anno: forse le addizionali e la tariffa della Tarsu». Secondo Mauro Baccega, assessore ai Servizi finanziari del Comune di Aosta, invece, «vista la congiuntura economica delle famiglie non ritengo si possa procedere ad alcun aumento».
Infine, dal Comune di Perugia spiegano così i rincari del 2011 e quelli, probabili, del 2012: «Le misure introdotte dalla manovra finanziaria e dalla legge di stabilità hanno comportato pesanti riduzioni dei trasferimenti statali, ai quali si devono aggiungere i “tagli indiretti” derivanti dalla riduzione dei trasferimenti statali alla Regione Umbria. Ciò che è sicuro è che in ogni futuro intervento terremo conto della protezione delle fasce sociali più deboli»
di Andrea Curiat, Eleonora Della Ratta e Serena Riselli
il Sole 24ore
il Sole 24ore
Integratori, vitamine e sali minerali le pillole del benessere conquistano gli italiani
Sono pillole e compresse ma non hanno nulla a che fare con le medicine. Stanno in scatole dai colori accesi – arancioni, gialle, blu, verdi – sistemate nelle farmacie in espositori alti fino agli occhi. Totem di cartone fatti apposta per attirare i clienti che insieme alle martellanti campagne pubblicitarie si rivelano molto efficaci: ogni anno gli italiani spendono per gli integratori alimentari il 10% in più di quello precedente. Adesso siamo a 1 miliardo e 700 milioni di euro di fatturato.
Questi prodotti possono essere usati per problemi oculistici o per blande infezioni, per cercare di dimagrire o non avere l’ansia, ma anche per perdere peso o non perdere i capelli. Più generalmente vengono presi per tirarsi su, per stare bene, per superare un periodo di debolezza. Vitamine, sali minerali, fermenti lattici segnano ogni anno un incremento delle vendite ormai impensabile per i farmaci ma anche per i prodotti omeopatici o fitoterapici. La loro autorizzazione al commercio è molto più rapida di quella dei medicinali, basta una comunicazione al ministero. E così l’offerta cresce, per intercettare meglio la domanda ma anche per determinarla.
I prezzi sono piuttosto alti eppure ai consumatori gli integratori piacciono. Perché? Le ragioni del boom sono più di una. Da una parte la ricerca continua del benessere, che si scontra con una sempre maggiore attenzione dei dottori a prescrivere medicine. Comunque per stare bene una pasticca ci vuole, sembrano pensare in molti. “Ora c’è il boom degli integratori vegetali, che sfruttano la moda del naturale – dice Marco Mungai Nocentini, presidente Federfarma Toscana – Questi prodotti, che non costano niente al sistema sanitario, piacciono perché non hanno effetti collaterali e oltretutto spesso sono gli stessi medici a consigliarli. Inoltre sono finite tra gli integratori sostanze che un tempo erano farmaci da banco”. Come il polase.
Negli Usa, dove l’impennata delle vendite risale a molti anni fa, si iniziano a chiedere se non si stia esagerando. Lo stesso acido folico, che ha una indicazione precisa per le donne incinte in quanto riduce i rischi di anomalie del sistema nervoso del nascituro, è finito sotto accusa perché in molte ne prendono troppo. “Non siamo a questo livello ma va fatta chiarezza su quando servono gli integratori – dice Giacomo Milillo, della Federazione dei medici di famiglia – Se prescrivo una terapia di antibiotici possono essere necessarie delle vitamine per aiutare il paziente. Ma deve essere un trattamento prolungato. Altri integratori possono servire in situazioni di deperimento, ad esempio in anziani che hanno difficoltà ad alimentarsi.
Mi sembra un mondo che si basa più sul consumo che sul bisogno – fa sapere il presidente dell’Adico, Carlo Garofolini – spesso sembra che siano fatti passare come necessari quando in realtà non lo sono”.
Questi prodotti possono essere usati per problemi oculistici o per blande infezioni, per cercare di dimagrire o non avere l’ansia, ma anche per perdere peso o non perdere i capelli. Più generalmente vengono presi per tirarsi su, per stare bene, per superare un periodo di debolezza. Vitamine, sali minerali, fermenti lattici segnano ogni anno un incremento delle vendite ormai impensabile per i farmaci ma anche per i prodotti omeopatici o fitoterapici. La loro autorizzazione al commercio è molto più rapida di quella dei medicinali, basta una comunicazione al ministero. E così l’offerta cresce, per intercettare meglio la domanda ma anche per determinarla.
I prezzi sono piuttosto alti eppure ai consumatori gli integratori piacciono. Perché? Le ragioni del boom sono più di una. Da una parte la ricerca continua del benessere, che si scontra con una sempre maggiore attenzione dei dottori a prescrivere medicine. Comunque per stare bene una pasticca ci vuole, sembrano pensare in molti. “Ora c’è il boom degli integratori vegetali, che sfruttano la moda del naturale – dice Marco Mungai Nocentini, presidente Federfarma Toscana – Questi prodotti, che non costano niente al sistema sanitario, piacciono perché non hanno effetti collaterali e oltretutto spesso sono gli stessi medici a consigliarli. Inoltre sono finite tra gli integratori sostanze che un tempo erano farmaci da banco”. Come il polase.
Negli Usa, dove l’impennata delle vendite risale a molti anni fa, si iniziano a chiedere se non si stia esagerando. Lo stesso acido folico, che ha una indicazione precisa per le donne incinte in quanto riduce i rischi di anomalie del sistema nervoso del nascituro, è finito sotto accusa perché in molte ne prendono troppo. “Non siamo a questo livello ma va fatta chiarezza su quando servono gli integratori – dice Giacomo Milillo, della Federazione dei medici di famiglia – Se prescrivo una terapia di antibiotici possono essere necessarie delle vitamine per aiutare il paziente. Ma deve essere un trattamento prolungato. Altri integratori possono servire in situazioni di deperimento, ad esempio in anziani che hanno difficoltà ad alimentarsi.
Mi sembra un mondo che si basa più sul consumo che sul bisogno – fa sapere il presidente dell’Adico, Carlo Garofolini – spesso sembra che siano fatti passare come necessari quando in realtà non lo sono”.
di Michele Bocci
tratto da repubblica.it
tratto da repubblica.it
Speculazione alla pompa: rispetto un anno fa + 7 euro per un pieno di benzina; + 8,5 euro per quello del gasolio
Malgrado le quotazioni del petrolio al barile sta arretrando rispetto le massime quotazioni registrate qualche settimana fa (ieri chiusura in calo per il petrolio a New York, dove le quotazioni perdono l’1,1% a 93,82 dollari al barile), il costo della benzina alla pompa non accenna voler calare – denuncia l’ADICO.
In media per un pieno la differenza tra il prezzo ottimale del carburante e quello applicato ammonta a circa due euro in più per la benzina e di circa tre euro per il diesel – secondo gli analisti dell’ADICO – per un valore che oscilla attorno ai 5 – 6 centesimi al litro; con la benzina salita del 13% rispetto a marzo 2010 ed il gasolio del 19% su base annua.
Secondo gli esperti dell’associazione per un pieno di 50 litri di benzina nel dicembre 2010 ci voleva 68 euro contro i 75 di oggi; mentre per il gasolio si è passati da 65 euro a 73,5 euro.
Un meccanismo quello di “adeguare a rilento” il prezzo dei carburanti alla pompa che permette alle compagnie petrolifere di ottenere ricavi addizionali pari a centinaia di milioni di euro in più – spiega il presidente dell’ADICO, Carlo Garofolini – mentre ad ogni aumento del prezzo del petrolio segue un immediato aumento del prezzo di tutti i carburanti. Speculazioni che determinano un effetto domino sui prezzi finali delle materie prime e dei lavorati, contraggono i consumi, alleggeriscono le tasche dei consumatori.
In media per un pieno la differenza tra il prezzo ottimale del carburante e quello applicato ammonta a circa due euro in più per la benzina e di circa tre euro per il diesel – secondo gli analisti dell’ADICO – per un valore che oscilla attorno ai 5 – 6 centesimi al litro; con la benzina salita del 13% rispetto a marzo 2010 ed il gasolio del 19% su base annua.
Secondo gli esperti dell’associazione per un pieno di 50 litri di benzina nel dicembre 2010 ci voleva 68 euro contro i 75 di oggi; mentre per il gasolio si è passati da 65 euro a 73,5 euro.
Un meccanismo quello di “adeguare a rilento” il prezzo dei carburanti alla pompa che permette alle compagnie petrolifere di ottenere ricavi addizionali pari a centinaia di milioni di euro in più – spiega il presidente dell’ADICO, Carlo Garofolini – mentre ad ogni aumento del prezzo del petrolio segue un immediato aumento del prezzo di tutti i carburanti. Speculazioni che determinano un effetto domino sui prezzi finali delle materie prime e dei lavorati, contraggono i consumi, alleggeriscono le tasche dei consumatori.
Boom di sfratti nel 2010 a causa della morosità
Si accendono i riflettori su quella che ormai si sta trasformando in una vera e propria emergenza nazionale, che potrebbe rivelarsi capace di mettere a rischio la stabilità sociale del paese: il boom di sfratti a causa della morosità registrato nel corso del 2010.
A renderlo noto sono state CGIL e Sunia leggendo tra i risultati di un’indagine svolta a partire dai dati raccolti dal ministero dell’Interno.
Secondo la ricerca, l’anno scorso sono stati operati 65.489 sfratti, risultando in una crescita pari al 6,5% rispetto al 2009 e validi a stabilire il numero record di sfratti da qui a 15 anni addietro.
Nel dettaglio, la ricerca ha appurato, rispetto al 2009, un calo delle richieste di esecuzione presentate all’ufficiale giudiziario del 5,6%, ma un aumento degli sfratti esecutivi dell’8,1%.
Entrando ancor più nel dettaglio, l’indagine rileva come gli sfratti per morosità abbiano fatto registrare, nel corso degli anni, un costante aumento sia in termini assoluti sia in termini che percentuali sul totale: nel 1983, infatti, con 17.895 provvedimenti rappresentavano il 13% degli sfratti emessi, mentre nel 1997 avevano raggiunto la quota del 50% del totale con 26.332 provvedimenti. L’anno scorso, punto culminante di questa ascesa, gli sfratti per morosità sono stati 56.147, evidenziando una crescita dell’8,9% sul 2009 e addirittura del +29% nel biennio 2008-2010.
Che la situazione sia peggiorata in modo sostanziale lo si evince anche dal rapporto tra i provvedimenti si sfratti emessi e il numero delle famiglie residenti in Italia: nel 2010 si è arrivati al rapporto di uno sdratto ogni 380 famiglie, a fronte di uno sfratto ogni 539 famiglie nel 2001 e uno ogni 401 famiglie nel 2009.
Negli ultimi cinque anni sono stati emessi circa 268mila provvedimenti, di questi oltre 216mila per morosità, mentre 127mila sono state le esecuzioni di provvedimenti emessi anche in periodo precedenti.
Ogni anno il numero di coppie, singoli e famiglie che sono obbligati a lasciare l’alloggio in locazione in cui risiedono aumenta perché non riescono a pagare l’affitto – spiega il presidente dell’ADICO, Carlo Garofolini – una situazione resa ancor più drammatica se l’inquilino è un giovane.
I motivi purtroppo – si legge nella nota diffusa dall’ADICO – sono sempre determinati dalle locazioni troppo alte rispetto ai redditi troppo bassi, di norma precari o percepiti all’ingresso nel mondo del lavoro, mentre il classico mutuo dedicato all’acquisto di un immobile, risulta impraticabile soprattutto pensando alle future prospettive salariali.
Secondo dati Ires, su elaborazione di rilevazioni della Banca d’Italia, circa il 60% degli under 35 guadagna non più di 1.000 euro al mese, a cui si devono comunque aggiungere un 13,2% di disoccupati.Uno stipendio che non permette in alcun modo di far uscire i bamboccioni fuori dalla casa paterna – è convinto il presidente dell’ADICO – dal momento che la locazione media mensile si aggira intorno ai 650 euro.
A renderlo noto sono state CGIL e Sunia leggendo tra i risultati di un’indagine svolta a partire dai dati raccolti dal ministero dell’Interno.
Secondo la ricerca, l’anno scorso sono stati operati 65.489 sfratti, risultando in una crescita pari al 6,5% rispetto al 2009 e validi a stabilire il numero record di sfratti da qui a 15 anni addietro.
Nel dettaglio, la ricerca ha appurato, rispetto al 2009, un calo delle richieste di esecuzione presentate all’ufficiale giudiziario del 5,6%, ma un aumento degli sfratti esecutivi dell’8,1%.
Entrando ancor più nel dettaglio, l’indagine rileva come gli sfratti per morosità abbiano fatto registrare, nel corso degli anni, un costante aumento sia in termini assoluti sia in termini che percentuali sul totale: nel 1983, infatti, con 17.895 provvedimenti rappresentavano il 13% degli sfratti emessi, mentre nel 1997 avevano raggiunto la quota del 50% del totale con 26.332 provvedimenti. L’anno scorso, punto culminante di questa ascesa, gli sfratti per morosità sono stati 56.147, evidenziando una crescita dell’8,9% sul 2009 e addirittura del +29% nel biennio 2008-2010.
Che la situazione sia peggiorata in modo sostanziale lo si evince anche dal rapporto tra i provvedimenti si sfratti emessi e il numero delle famiglie residenti in Italia: nel 2010 si è arrivati al rapporto di uno sdratto ogni 380 famiglie, a fronte di uno sfratto ogni 539 famiglie nel 2001 e uno ogni 401 famiglie nel 2009.
Negli ultimi cinque anni sono stati emessi circa 268mila provvedimenti, di questi oltre 216mila per morosità, mentre 127mila sono state le esecuzioni di provvedimenti emessi anche in periodo precedenti.
Ogni anno il numero di coppie, singoli e famiglie che sono obbligati a lasciare l’alloggio in locazione in cui risiedono aumenta perché non riescono a pagare l’affitto – spiega il presidente dell’ADICO, Carlo Garofolini – una situazione resa ancor più drammatica se l’inquilino è un giovane.
I motivi purtroppo – si legge nella nota diffusa dall’ADICO – sono sempre determinati dalle locazioni troppo alte rispetto ai redditi troppo bassi, di norma precari o percepiti all’ingresso nel mondo del lavoro, mentre il classico mutuo dedicato all’acquisto di un immobile, risulta impraticabile soprattutto pensando alle future prospettive salariali.
Secondo dati Ires, su elaborazione di rilevazioni della Banca d’Italia, circa il 60% degli under 35 guadagna non più di 1.000 euro al mese, a cui si devono comunque aggiungere un 13,2% di disoccupati.Uno stipendio che non permette in alcun modo di far uscire i bamboccioni fuori dalla casa paterna – è convinto il presidente dell’ADICO – dal momento che la locazione media mensile si aggira intorno ai 650 euro.
Spunti tratti dalla “La Stampa.it”
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