Reggio Calabria, 8 mag. - (Adnkronos) - Nell'ultimo anno a Reggio Calabria sono stati arrestati diversi politici con l'accusa di associazione mafiosa e corruzione elettorale. Dall'ex sindaco di Siderno Alessandro Figliomeni al consigliere regionale Santi Zappala' (per il quale e' stata avanzata la richiesta di pena a quattro anni di reclusione), fino alla recentissima operazione che ha portato in manette il sindaco di Marina di Gioiosa Jonica Rocco Femia e tre assessori della sua giunta. Si ripropone il problema della prevenzione nella composizione delle liste. Molti partiti si sono attrezzati con codici etici di autoregolamentazione ma ''sono rimasti sulla carta'', dice all'ADNKRONOS il procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Nicola Gratteri. Il magistrato ripete da tempo che ''la 'ndrangheta da sempre vota e fa votare, non ha colore politico. Non e' di destra o di sinistra. La 'ndrangheta punta su un cavallo, molte volte decide il candidato. Non aspetta che si formino le griglie per poi scegliere chi votare, la 'ndrangheta e' parte attiva del processo decisionale''. Secondo Gratteri ''questo e' l'aspetto drammatico che dovrebbe far riflettere la politica, piu' che indignarsi o criticare quello che, con i mezzi che hanno, stanno facendo la magistratura e le forze dell'ordine. Per mezzi intendo sia quelli normativi che materiali, operativi''. Lo scorso anno e' stata approvata, dopo un percorso durato un decennio, la legge Lazzati che vieta ai sorvegliati speciali di fare campagna elettorale. Non si ha tuttavia notizie della sua applicazione. ''La legge Lazzati -dice Nicola Gratteri- e' stata approvata con delle modifiche rispetto al progetto originario proposta da Romano De Grazia, la legge approvata e' meno incisiva rispetto al progetto, e' comunque sempre un aspetto parziale rispetto alla complessita' del contrasto alle mafie anche nel campo dell'elettorato attivo e passivo, e quindi della politica''. Il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria sostiene che andrebbe modificato, come sollevato dal procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, il reato di 416 ter che prevede lo scambio di voti solo se c'e' passaggio di denaro. ''Noi sappiamo bene -spiega Gratteri- che la 'ndrangheta non vota in cambio di soldi. Sono i poveracci che hanno l'etica sotto i piedi che vendono il loro voto in cambio di soldi. La mafia non raccoglie pacchetti di voti in cambio di denaro, ma di favori come ad esempio gli appalti, favori che puo' dare la pubblica amministrazione e il politico che controlla un settore della pubblica amministrazione''. Secondo Gratteri ''ci vuole qualcosa in piu', come ci dice la giurisprudenza recente''. Il magistrato avverte che su questo punto ''la giurisprudenza non e' univoca, c'e' da discutere''. Poi lancia un allarme: ''Attenzione perche' la situazione e' diventata grave e ingovernabile''. Il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria precisa ''io non voglio generalizzare perche' ci sono decine e decine di candidati onesti e perbene che stanno mettendo la loro vita, il loro tempo, la loro faccia per cercare anche con la loro candidatura di arginare il fenomeno mafioso. Pero' -puntualizza- attenzione perche' la 'ndrangheta e' entrata in modo determinante, importante, nella gestione della cosa pubblica, nella gestione e conduzione della politica''. Insufficiente, secondo Gratteri, la presentazione preventiva delle liste dei candidati in prefettura per valutare l'eventuale presenza di cause di inopportunita' e problemi con la giustizia. ''Un soggetto -ricorda- puo' essere incensurato ma essere 'ndranghetista oppure funzionale alla 'ndrangheta, come emerso nelle indagini piu' recenti''. Il magistrato Nicola Gratteri ha riportato, in diversi interventi, due paradossi. Il primo e' aver fatto condannare per sei volte lo stesso imputato. L'altro e' che nessun componente della famiglia Aquino, riconosciuta come egemone nel narcotraffico internazionale, ha mai avuto una condanna per l'accusa di associazione mafiosa. ''Il reato di 416 bis cosi' com'e' strutturato -spiega il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria- da' ampissimi margini di potere discrezionale. Quindi, al netto, questi 'ndranghetisti stanno in carcere sei o sette anni. Non e' un deterrente, non bastano sei anni per rieducare un mafioso. Le pene sono ridicole''. Gratteri racconta ''quando una persona legge che e' imputata per 416 bis tira un sospiro di sollievo perche' calcola che dopo pochi anni esce. Se invece e' imputato per l'art.74 (sostanze stupefacenti) o per omicidio allora si preoccupa seriamente. In questo caso anche il piu' duro dei mafiosi sbianca''. Sulla nuova stagione del pentitismo, che nel 2010 ha segnato un apprezzabile aumento di collaboratori di giustizia a Reggio Calabria, Gratteri afferma che e' un fatto importante ma ''non e' una novita' assoluta perche' anche dieci anni fa, negli anni Novanta, abbiamo avuto fino a cinquanta collaboratori di giustizia. E' certo un segnale buono, positivo. Ci aspettiamo -auspica- che collaborino 'ndranghetisti di piu' alto livello per poter creare uno squarcio piu' incisivo nelle famiglie di elite della 'ndrangheta''. Anche ''qualcosa in piu''' di Antonino Lo Giudice, che si e' autoaccusato delle bombe alla procura generale di Reggio Calabria e all'intimidazione al procuratore Giuseppe Pignatone. Nicola Gratteri conclude con un pensiero sullo scontro a livello nazionale tra politica e magistratura. ''E' ovvio -sostiene- che fare una campagna di stampa contro la magistratura ha effetti negativi. Chi mangia fa briciole. Ci sono delle smagliature all'interno delle forze dell'ordine e della magistrature, ma non si puo' buttare l'acqua con il bambino. Non si puo' demonizzare tutta la magistratura dell'ordine e tutte le forze dell'ordine per cambiare tutto il sistema''. Sulle vicende dell'ultimo anno a Reggio Calabria e la reazione della societa' civile, Gratteri si mostra poco entusiasta. La definisce ancora ''troppo tiepida rispetto ai bisogni. Penso -conclude- che meritiamo un po' di più''.
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