Solidarietà
e sussidiarietà continuano a caratterizzare l’azione della Provincia rispetto alla drammatica condizione di vita e
di lavoro degli immigrati che vivono a Rosarno. Una solidarietà tangibile che,
in tutto questo tempo, è rimasta lontana dal clamore mediatico e dalle
dichiarazioni ampollose dei rappresentanti di importanti segmenti istituzionali
e del mondo dell’associazionismo che operano nel reggino. Pur movendosi tra
mille difficoltà di bilancio, sempre più pesanti per il sostanziale taglio dei
trasferimenti statali, l’Ente presieduto da Giuseppe Raffa è intervenuto
concretamente contribuendo a rendere meno dura la quotidianità di quanti sono di
grande utilità all’agricoltura pianegiana e che oggi si sono sostituiti a quella manodopera bracciantile
ormai scomparsa dal nostro grande bacino di disoccupati. L’appello più volte lanciato dal Prefetto ha
trovato la pronta adesione dell’Amministrazione
provinciale che, rispetto ad altri enti territoriali e allo Stato, non ha
esitato a compiere un dovere umanitario nei confronti di cittadini stranieri
che pur di guadagnarsi un misero salario, quotidianamente, operano in
condizioni di precarietà e di grande
disagio che ci riportano indietro di secoli.
“Il
nostro contributo – rileva il presidente Raffa - proseguirà con l’obiettivo di rendere più umane le condizioni di quanti
vivono nella tendopoli esistente e in quella che sarà allestita prossimamente. Il
problema degli immigrati che nella Piana di Gioia Tauro operano nel settore
agricolo deve essere affrontato radicalmente per evitare che ciclicamente si ripresenti
in tutta la sua drammaticità. Servono interventi strutturali e non
provvedimenti tampone assunti sull’onda dell’emozione e dell’indignazione dell’opinione
pubblica di fronte ad immagini in cui agli esseri umani sono negati diritti
universalmente riconosciuti. Mi domando cos’è cambiato dalla rivolta del 7
gennaio del 2010. Alla maggiore consapevolezza che l’immigrato rappresenta una
risorsa per quei settori produttivi - in particolare in agricoltura - che non
trovano risposte alla crescente domanda di braccia, non corrispondono adeguati
interventi strutturali da parte dello Stato o di altri enti competenti per
territorio. L’universo degli immigrati,
composto anche da clandestini, ci riporta con la mente agli inizi del
Novecento quando, per sfuggire alla
povertà e alla mancanza di lavoro, anche
la nostra terra fu interessata al fenomeno migratorio con destinazione i
paesi d’oltre Oceano e il resto d’Europa. Oggi, più che in passato, non esistono
frontiere entro cui convogliare le grandi masse
che spingono alle porte dei paesi industrializzati per lasciarsi alle
spalle quelle regioni del pianeta, che noi etichettiamo come arretrate e
sottosviluppate, rimaste in parte o totalmente escluse dagli effetti della
modernizzazione. Come cristiani abbiamo un dovere in più: allontanare da noi i
preconcetti sugli immigrati, a qualsiasi etnia appartengano, trattandoli come fratelli e non già come scarti di una società
postindustriale in cui, per gli effetti prodotti dall’occidentalizzazione del pianeta,
non esita a mandare in ‘discarica’ uomini e cose”.
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